Il dibattito televisivo tra i vicepresidenti Biden e Ryan non altera i numeri della corsa alla Casa Bianca, riaperta dal “flop” di Barack Obama nel primo dibattito.
In America si dice, giustamente, che i dibattiti tra vicepresidenti contino poco. Eppure, lo scorso giovedì sera la sensazione era che stavolta, forse, lo scontro televisivo tra il senatore democratico Joe Biden (vice in carica) e il deputato repubblicano Paul Ryan (aspirante vice) contasse un po’ più del solito. Biden doveva “vendicare” il suo capo, il presidente Barack Obama, vittima, una settimana prima, di una performance opaca, sottotono, al punto da impedire anche agli analisti più di parte di dire il contrario, e soprattutto di riaprire, almeno nei sondaggi, una corsa alla Casa Bianca che sembrava già chiusa.
Dopo il flop di Denver, infatti, lo sfidante repubblicano Mitt Romney, che al contrario aveva dato il meglio di sé, è addirittura balzato in testa – anche se di misura – nel dato nazionale. Poco importa che, come dimostrato nei vari “processi del lunedì” post-dibattito, qualche fatto se lo sia inventato, che a certe affermazioni usate alle primarie per assicurarsi la base conservatrice abbia rifatto il trucco, e che alle cifre abbia aggiunto uno zero o tolto una virgola qua e là. Il 70% è come appari, il 20% come lo dici e il 10% cosa dici, ripete il comico inglese Eddie Izzard nei suoi irresistibili monologhi. Purtroppo, nei dibattiti c’è da constatare che non si allontana molto dal vero. Altrimenti non si spiegherebbe perché è bastata un’ora e mezza di Obama “remissivo e demotivato” ( due degli aggettivi più gettonati) per far tornare sostanzialmente in parità le intenzioni di voto degli americani.
Non solo a livello nazionale, ma anche nei cosiddetti “swing States”, gli stati indecisi. Ed è da come voteranno questi Stati che dipenderà il prossimo “nome sul campanello” della Casa Bianca. Il conto dei singoli voti, infatti, avviene all’interno di ogni Stato, e al candidato che ottiene la maggioranza si assegna un valore – un punteggio – più o meno alto a seconda della popolazione. Ovviamente i più grandi e popolosi “pesano” di più: la California, ad esempio, vale 55, il Texas, 39, lo Stato di New York 29 e così via. Per vincere ne servono 270 (ovvero la meta’ +1 dei 539 “punti”, o voti elettorali per chiamarli come si deve) totali.
Secondo la media dei sondaggi fatta oggi dal New York Times Obama ne prenderà 237 (tra cui 185 sicuri e 52 probabili) mentre Romney solo 191 (158 sicuri e 33 probabili). Ne rimangono 110 ripartiti tra 9 Stati “swing” o indecisi. Tra questi c’è la Florida (29 voti elettorali) – quelli che nel 2000 costarono l’elezione ad Al Gore, l’Ohio (18), e la Virgina (13). Ed è agli elettori indecisi di quegli Stati indecisi che si rivolgono i candidati nei dibattiti, perché così a ridosso delle elezioni gli “zoccoli duri” e’ difficile che cambino idea a meno di gravi crisi interne o internazionali o di grosse gaffe.
Giovedì sera Biden e Ryan di indecisi non ne hanno convinti granché. Il vicepresidente in carica – uomo del popolo che al popolo piace – col suo atteggiamento a tratti un po’ “da bar”, ha tenuto testa allo sfidante incalzandolo su fatti, cifre e programmi non sempre chiarissimi da parte repubblicana, e soprattutto senza gaffe – per le quali è noto da sempre. Ma quando la parola passava a Ryan, con un dannoso eccesso di sicurezza (forse lo stesso che ha intorpidito Obama sul podio di Denver) o lo interrompeva o sembrava quasi ridergli in faccia.
Ryan dal canto suo, quasi trent’anni in meno, ha tenuto il campo sciorinando analisi geopolitiche e, soprattutto quei brutti numeri sull’economia (tra cui una disoccupazione scesa solo oggi, dopo quattro anni, sotto l’8%) che screditano automaticamente – a prescindere dai colpevoli – qualsiasi presidente in carica. Un pareggio, insomma, che non sposta i sondaggi e rimanda ai prossimi due dibattiti presidenziali: il prossimo, martedì 16. C’è chi ha detto che – visto che il primo non se lo ricorda nessuno – Obama abbia scelto di frenare i colpi per sfoderare le armi più taglienti alla fine. Vedremo.