Intervista all’economista Dante Roscini che insegna a Boston: per uscire dalla crisi serve una riforma del lavoro che valorizzi il merito. Per liberare le energie dei giovani.
Un “poker” di economisti italiani di eccezione hanno spiegato, discusso, e proposto le loro soluzioni per, la crisi che attanaglia il nostro Paese e, piu’ in generale, tutta l’Unione Europea. In una tavola rotonda, organizzata dal Consolato Italiano di Boston in collaborazione con PIB (la locale associazione dei giovani professionisti italiani) e moderata dal corrispondente degli USA del Corriere della Sera, Massimo Gaggi, si sono confrontati – a tratti affrontati – sui temi piu’ scottanti e attuali dell’economia, Francesco Giavazzi, docente all’Universita’ Bocconi, Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, Alberto Alesina, titotlare della cattedra di economia politica all’Università di Harvard e Dante Roscini, docente anche lui alla Facoltà di Economia del prestigioso ateneo bostoniano.
Del quartetto di luminari, Roscini, approdato ad Harvard dopo una lunga e brillante carriera nei colossi dell’alta finanzia mondiale come Goldman Sachs e Merrill Lynch, e’ apparso il piu’ ottimista ( o se non altro il meno catastrofico). E a fine conferenza ha accettato di condividere con noi, in esclusiva, alcune riflessioni sulla situazione economica attuale, e previsioni sui possibili scenari futuri.
Professor Roscini, che cosa pensa dei provvedimenti che sta prendendo il Governo Monti, e che cosa di diverso dovrebbe eventualmente fare?
«Il governo Monti, pur non eletto, ha restituito credibilità al Paese sul piano internazionale e iniziato riforme difficili (prima impensabili) su quello nazionale, come quella delle pensioni. Mi sembra però che abbia perso parte del suo afflato iniziale e che in termini di riforme avrebbe potuto spingere di più. Gli inevitabili compromessi con la politica rischiano di ridurre l’incisività della sua azione e di far perdere mordente al Governo a mano a mano che ci si avvicina alle elezioni. A mio avviso dovrebbe realizzare una più decisa politica per lo sviluppo».
Quanto è peculiare all’Italia questa crisi e quanto, invece, è conseguenza della situazione internazionale?
«La situazione non é ovviamente solo italiana, la crisi che è scoppiata in Grecia nel 2010 ha contagiato molti altri Paesi. Grecia, Portogallo e Irlanda hanno dovuto ricorrere a prestiti di organismi sopranazionali quali l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale, perché i mercati non erano più disponibili a prestare loro denaro a tassi ragionevoli. L’ Italia desta preoccupazione agli occhi degli investitori a causa del suo debito elevato, pari circa a quello di Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia messi insieme. La nostra capacità di ripagare è maggiore – data la dimensione e le caratteristiche della nostra economia –e quindi pur richiedendo tassi più elevati, gli investitori istituzionali sono ancora pronti a farci credito».
Quanto può fare veramente la politica in questo senso?
«La politica può fare molto ma dev’essere una politica seria che lavori a favore del cittadino e non di sé stessa. Servono credibilità e riforme strutturali che consentano di sprigionare l’energia vitale della nostra economia, di recuperare competitività e di favorire l’impiego e la crescita, ciò che consentirà di ripagare il debito nel tempo. La politica deve ritrovare dignità per poter credibilmente guidare il Paese in tempi che saranno difficili».
Dante Roscini durante una delle sue lezioni di economia a Boston.
Dante Roscini durante una delle sue lezioni di economia a Boston.
Qual è la sua “ricetta” per uscirne?
«Privatizzazioni e tassa sui grandi patrimoni per un’immediata riduzione del debito pubblico nel rispetto dei ceti più deboli – i quali stanno soffrendo maggiormente. Ė inoltre necessario ridurre la burocrazia e liberalizzare interi settori dell’economia per dare nuovo impulso a quello spirito imprenditoriale che fa parte del nostro Dna. Penso che sia necessario affrontare una volta per tutte il problema endemico dell’evasione fiscale, in modo da assicurare equità sociale, e promozione dell’onestà a tutti i livelli, a cominciare dalla classe politica che ultimamente non ha certo dato il buon esempio. Questo richiede un vero cambiamento culturale. I cittadini devono ritrovare fiducia nello Stato: ciò passa per la drastica riduzione dei costi della politica e degli sprechi, per far si che il cittadino senta che in cambio delle sue tasse riceve assistenza e servizi di qualità. Più in generale credo sia una priorità assoluta valorizzare il merito e offrire modelli positivi ai nostri giovani. Le loro energie sono vitali per la ripresa e la crescita del sistema Italia ed è necessaria una riforma del lavoro che consenta di dare loro – che sono il futuro del Paese – migliori opportunità».
Quanto ci vorrà per riprendersi?
«Se l’Europa continuerà a gestire la crisi come si è fatto finora si rischia che la crisi sia molto lunga, forse più di un decennio. Se invece l’Europa riuscirà a superare i particolarismi e l’ordine sparso, e a ritrovare la solidarietà e compattezza che erano alla base del progetto europeo, allora la crisi potrebbe risolversi anche molto rapidamente».
In questo frangente che cosa ci sarebbe da imparare dall’America?
«A differenza dell’Europa, l’America ha un vero Governo federale pronto a venire in aiuto degli Stati membri e gode di una politica fiscale uniforme. Non c’é pero’ solo da imparare dall’America: qui com’è noto lo Stato spende meno sul welfare system, che è davvero limitato e ciò comporta iniquità sociali. E ciò nonostante anche l’America ha all’orizzonte il rischio di un debito pubblico crescente, ancora tutta da affrontare».
L’economista Francesco Giavazzi ha messo in discussione la sopravvivenza stessa dell’Eurozona. C’è secondo lei un rischio reale di collasso dell’Unione?
«L’ondata di pessimismo sull’euro e sull’Europa in generale è comprensibile, visto che la crisi ha spazzato via ben 7 leader dell’Eurozona, che salgono a 8 lcon la vittoria di Hollande in Francia. Io sono però più ottimista: tralasciando le difficoltà logistiche e i costi proibitivi di smantellare la moneta unica, fondamentalmente credo che la maggior parte degli europei voglia ancora rimanere nell’euro e non credo che nessuno dei politici europei – né tantomeno il Governatore italiano della Banca Centrale Europea – voglia passare alla storia come colui che ha contribuito allo smantellamento del progetto europeo. In questa economia globale, l’Europa non ha alternativa. Dovrà affrontare la concorrenza dei giganti americani e asiatici restando unita o rischierà di perdere ulteriore peso sulla scena internazionale sia dal punto di vista economico sia da quello geopolitico».
Nel suo intervento al Consolato italiano di Boston lei ha parlato molto di banche. Che ruolo hanno avuto nel causare la crisi, come la stanno gestendo e che ruolo avranno eventualmente per uscirne?
«Le banche hanno avuto e avranno ancora un ruolo centrale. La recessione e l’andamento dei mercati hanno portato a una svalutazione dei loro attivi e a un aumento dei loro costi. A seguito di questo le banche si sono trovate a corto di capitale e hanno iniziato da un lato a ridurre il credito alle aziende, cosa che peggiora l’economia; dall’altro, a vendere la grande quantità di titoli di stato che detengono, cosa che tende a deprimerne ancora di più l’andamento. Ė quindi essenziale interrompere questo ciclo negativo con ricapitalizzazioni e iniezioni di liquidità. In questo la BCE è intervenuta con determinazione e ha evitato che il sistema finanziario si inceppasse, cosa che avrebbe aggravato pericolosamente la crisi».
Lei ha anche detto che se domani l’Europa emettesse titoli di stato comuni la crisi dei mercati finanziari si risolverebbe subito. E ha concluso: “ci vuole piu’ Europa!”. Può spiegare, in parole povere, perché?
«L’Unione monetaria europea presa nel suo insieme è in condizioni migliori del Giappone e degli Stati Uniti sia in fatto di debito sia di deficit. Se l’Eurozona si finanziasse sui mercati in maniera unitaria ovvierebbe a molti dei suoi problemi. La difficoltà nasce dal fatto che all’interno dell’Unione monetaria ci sono grandi disparità tra i livelli di debito e di deficit di bilancio di ciascun Stato membro. Il fatto che questi si finanziano separatamente crea forti tensioni all’interno della moneta unica e una ulteriore integrazione fiscale creerebbe sicuramente una soluzione. Jean Monnet – uno dei padri fondatori del progetto europeo – diceva che “l’Europa è la risultante delle soluzioni alle proprie crisi”. Io mi auguro che questa crisi rappresenti un’occasione perché l’Europa faccia un grande passo avanti».