E’ successo, cari concittadini. Donald Trump sara’ il presidente degli Stati Uniti, almeno per i prossimi 4 anni. Non se l’aspettava nessuno e, secondo me, a giudicare dalle facce che faceva giovedi’ scorso alla Casa Bianca con Obama, e al Congresso con il Presidente della Camera Paul Ryan, del tutto non se l’aspettava nemmeno lui.
Ora, un’America sorpresa – meta’ piacevolmente, meta’ no – dopo essersi domandata per qualche giorno “what happened?” (che e’ successo?) comincia a chiedersi, “what next?”, (e adesso?).
E quando dico meta’, intendo che poco piu’ di 600.000 di voti di scarto (tra l’altro a favore della Clinton) su 130 milioni rappresenta sostanzialmente un pareggio, e nonostante secondo il sistema federale di conteggio Stato per Stato con punteggi proporzionali alla popolazione Trump abbia stravinto (306-232) il paese e’ politicamente diviso in due: da un parte le grandi citta’, moderne e internazionali con i grattacieli finanziati dalla new economy che spuntano come funghi e i campus universitari coi loro think tank, gli ospedali, i centri di ricerca; dall’altra le sterminate campagne e le province industriali trascurate dalla politica tradizionale e in attesa di una ripresa economica che probabilmente non arrivera’ mai del tutto.
In realta’ e’ sempre stato cosi’ – la linea di confine appare chiaramente dopo ogni elezione presidenziale dalla mappa – rossa (repubblicani) e blu (democratici) – dei risultati; specialmente da quella divisa per contee. Ebbene stavolta quel gruppo di Stati, normalmente blu che va da Philadelphia a Milwaukee passando per Cleveland e Detroit e’ diventata interamente rossa. Rossa come la ruggine, la stessa del nomignolo “rust belt” – la fascia della ruggine – con cui da gli americani chiamano questa enorme porzione del Paese dal glorioso passato manifatturiero e da troppi anni piena di fabbriche vuote e operai a spasso.
E tra quella ruggine (a cui, cari concittadini ci stiamo purtroppo cominciando ad abituare anche noi fabrianesi) si sono incagliate le ambizioni presidenziali di quella che sarebbe potuta essere la prima donna alla Casa Bianca e che oggi e’ solo un’altra politicante sconfitta e prossima alla pensione. Li’ Bernie Sanders avrebbe stravinto, ma il partito illudendosi che “tanto gli operai votano comunque a sinistra” ha fatto di tutto per candidare lei. Adesso si mangiano le mani, e se la prendono con l’FBI per aver riaperto all’ultimo momento l’inchiesta sulle email .. ma questa e’ gia’ storia di ieri, il “what happened” che eccezion fatta per i vertici Dem in odore di epurazione non interessa gia’ piu a nessuno.
Dalla parte opposta invece Trump e i suoi fedelissimi, chiusi nello scintillante grattacielo sulla quinta avenue di New York che porta il suo nome le mani se le fregano. Loro si’ che hanno azzeccato tutto, intercettando i malumori di quell’enorme pancia dell’America inascoltata, usando ad arte i social network, trattando i media a pesci in faccia ma sincerandosi che, nel bene o nel male, le telecamere fossero sempre accese su di lui, secondo il principio che “cattiva pubblicita’ e’ meglio che niente pubblicita’”
Ma nel, e per, fare cio’, Trump ha dovuto, magari anche voluto, esagerare, continuamente, agitando spettri e capri espiatori vari – messicani in primis, parlando con linguaggio e contenuti da bar, ma non da bar normale, bensi’ da bettola di ubriaconi all’ora di chiusura, a volte anche da parcheggio di bettola di ubriaconi dopo l’ora di chiusura. Immigrati, minoranze, donne, omosessuali, musulmani, democratici … nella sua reazione (condivisa in linea di principio da molti – sottoscritto compreso – all’eccesso di politicamente corretto) il miliardario newyorchese e’ riuscito a offendere tutti.
Cosi’ inevitabilmente nel convincere gli oltre 60 milioni di americani che martedi’ hanno votato per lui, compreso quel decisivo ago della bilancia arrugginito, e’ riuscito ad alienarsi tutti gli altri: non solo l’altra meta’ dell’elettorato ma anche praticamente tutti i Repubblicani credibili e rispettati che, chi prima chi dopo, da John McCain, a Mitt Romney, a un certo punto anche lo stesso Ryan che non ne ha potuto piu’, gli hanno voltato le spalle.
Gia’ alla convention di Agosto il partito l’aveva lasciato solo in balia di quella che anche a destra in tanti ormai consideravano una delirante deriva e che invece l’ha portato dritto dritto alla Casa Bianca – facendo emergere un America che francamente, nessuno, sottoscritto compreso, sospettava esistesse.
Tuttavia anche questo, cari concittadini fa parte del “what happened”. Adesso e’ il “what next” a preoccupare un po’ tutti.
La squadra di governo ventilata da Trump che – alla faccia del conflitto di interessi – ha addirittura dato ai figli (dopo tre matrimoni ne ha tanti) l’incarico della transizione del suo impero, da i brividi: Sarah Palin – un oca giuliva che nel 2008 quando si candido’ come vice di McCain non sapeva la differenza tra la banca centrale e il governo federale; Chris Christie arrogante governatore del New Jersey che chiuse il ponte di acceso a New York per far dispetto a un sindaco che non aveva votato per lui; Rudy Giuliani, ex sindaco di New York che ai tempi “ripuli’” la citta’ con metodi a dir poco fascisti – perfetti, dopo tutte le tensioni tra polizia e neri degli ultimi tempi, per scatenare una guerra civile. Il resto sono emeriti sconosciuti assortiti raschiati dal fondo di una pentola vuota.
Ora la speranza e’ che il partito, che anche grazie al “traino” di Trump ha mantenuto la maggioranza sia alla Camera che al Senato, quella pentola la riempia presto e bene. Dopo tutto senza l’appoggio del parlamento, come e’ successo ad Obama, il presidente non solo non puo’ governare, ma nel caso di Trump non puo’ nemmeno affidare una serie di importanti incarichi di governo tra cui quello del nono giudice della Corte Suprema, decisivo in caso di parita’. E in politica, come negli affari, si sa, quando conviene a tutti si fa presto a fare la pace.
In quanto all’altra meta’ dell’America pero’, quella in cui da vent’anni vive e opera il sottoscritto, pace, almeno per ora, sembra una parola grossa. Le proteste per strada e sui social network (in molti casi allo stesso livello delle sparate di Trump) sono tanto inutili quanto comprensibili. Se non altro perche’ ci ricordano che piu’ di un anno di discorsi al veleno non possono essere cancellati dai toni concilianti dei discorsetti di prammatica post elettorali e che una presidenza Trump rischia di riportare il pendolo del politicamente corretto all’estremo opposto e riesumare vecchie brutture che l’America si illudeva di aver sconfitto e superato per sempre.
“What next?” .. E Adesso?. Boh! Per ora, l’unica certezza e che il prossimo 20 gennaio, Donald J. Trump, verra’ ufficialmente icoronato presidente dopo aver giurato fedelta’ agli Stati Uniti con la mano sulla Bibbia del Congresso. E a me, cari concittadini, ogni giorno che passa viene sempre piu’ voglia di tirar fuori la mia.