“Shutdown” significa letteralmente chiudere, dunque per una volta anche in Italia, dove l’inglese usato a sproposito (footing, tilt, ecc…) o pronunciato male (management, report ecc..) e’ ormai una forma d’arte, stiamo descrivendo la situazione politica americana con il termine giusto.
Chiuso: cosi’, cari concittadini, e’ ormai da diversi giorni lo Stato americano. Intendiamoci quando si parla di “Stato” (che qui si dice “government”) in America si intende quello federale, visto che di federazione si tratta e che i 50 Stati dell’unione ( che qui si chiamano “States”) hanno ampi spazi di discrezionalita’ legislativa e di gestione del potere esecutivo come per esempio la polizia e le corti di giustizia. Dunque ad essere “shutdown” ovvero, chiuso e’ solo il governo federale, ovvero quello che noi chiameremmo “centrale” che fa capo a Washington e che nonostante le forti autonomie statali di cui sopra, gestisce comunque un bel po’ di cose importanti – dai parchi nazionali ai siti turistici passando per gli istituti di salute pubblica e ricerca, gli enti previdenziali per anzinita’ e infortuni, fino alla NASA, il traffico aereo e la sicurezza nazionale.
E malgrado i cosiddetti “essential services”, (mansioni indispensabili) siano esentati dallo shutdown , che infatti ancora viene definito “partial” (parziale), tanto per cominciare piu’ di 800,000 dipendenti pubblici dei servizi che essenziali non sono – o che almeno come tali non vengono considerati – rimangono a casa dal lavoro in quello che qui chiamano “forlough” (congedo), in pratica un eufemismo per una sorta di ferie forzate e non pagate che si sa quando cominciano e non si sa quando, e se, finiscono. Da aggiungere ci sono tutte le perdite dell’indotto, sia quello che dipende dai suddetti lavoratori (a Washington in questo senso per tassisti ristoratori e piccoli commercianti e’ una tragedia), sia quello legato agli utenti dei “servizi non essenziali” ad esempio i turisti che visitano i parchi o i monumenti nazionali.
Certo, fosse roba di pochi giorni, i danni sarebbero limitati (una settimana in meno di stipendi o di panini venduti ai pendolari e ai turisti in realta’ non cambia la vita a nessuno, specie in una nazione di spreconi come questa). Ma se, come sembra, lo shutdown dovesse durare piu’ a lungo le cose si complicherebbero per tutti. Eccovi, cari concittadini, due esempi emblematici, su centinaia che si potrebero fare: nel giro di un mese i vaccini antinfluenzali gestiti e distribuiti dal Center for Disease Control (ente federale) andrebbero esauriti proprio all’inizio della stagione invernale, contemporaneamente, gli assegni di pensione (che la Social Security, federale anch’essa, prepara e copre con un mese di anticipo) cesserebbero di arrivare ai veterani disabili.
Come se non bastasse, poi, entro fine ottobre il parlamento deve mettersi d’accordo sul tetto del debito pubblico: se lo shutdown dovesse perdurare oltre quella data, lo Stato, chiuso e dunque non finanziato, non riuscirebbe a pagare in tempo gli interessi sui titoli di stato. A quel punto si userebbe un’altra parola: “default” che praticamente significa fallimento! E allora si’ che sarebbero dolori per tutti. Dolori cosi’ acuti che gli esperti cominciano gia’ a parlare dell’equivalente economico di catastrofe nucleare. Probabilmente non succedera’ ma il fatto che se ne parli e’ gia’ in se un “fallimento” del sistema.
La causa di tutto questo? Semplificando la questione fino quasi a banalizzarla (anche se in questo caso un po’ banale lo sarebbe gia’ di suo) la chiusura dello stato federale e’ la conseguenza del muro contro muro in parlamento, lungo linee squisitamente partitiche, sulla riforma sanitaria fortemente voluta da Obama fin dall’inizio del suo mandato, passata come legge nel 2009 e entrata a tutti gli effetti in vigore all’inizio del mese. Una riforma che rispetto ai sistemi sanitari di gran parte dei paesi occidentali puo’ sembrare all’acqua di rose ma che per l’America, dove la sanita’ e’ dir poco bizantina, equivale a una piccola rivoluzione: dentro c’e’ l’obbligo, pena una multa, per tutti i cittadini di comprare un assicurazione sanitaria (sempre e comunque privata) a prezzi tenuti bassi dalle sovvenzioni pubbliche.
Va da se’ che un cambiamento del genere (disperatamente necessario in una nazione dove oltre 40 milioni di persone sono prive di assicurazione e la maggior parte delle bancarotte private e’ causata da indebitamento medico) genera uno spostamento enorme di flussi di denaro, e come sempre in questi casi, una serie di vincitori e perdenti nell’ordine dei miliardi di dollari, tra le compagnie di assicurazione e tutta la galassia di aziende che ruota attorno alla salute. Dunque si capisce, cari concittadini, quanto le lobby “dell’una e dell’altra fiata” (parafrasando il sommo poeta) spingano nei due sensi usando i politici, repubblicani (contro la riforma) e democratici (a favore) che di queste lobby spesso hanno usato i finanziamenti (enormi) per pagarsi le campagne elettorali.
Cosi’ per farsi belli, non tanto agli occhi degli elettori – anch’essi va detto divisi nei confronti della “rivoluzioncina” sanitaria di Obama – quanto dei loro “bancomat” elettorali, i parlamentari dei rispettivi schieramenti si sono “impuntati” sulla legge di bilancio: risultato netto lo “shutdown” del governo federale. Chiaramente gli stipendi dei parlamentari (quasi 200,000 dollari l’anno) continuano ad arrivare regolarmente, visto che sul fatto di essere “essenziali” repubblicani e democratici non hanno fatto alcuna fatica a mettersi d’accordo.
E voi, cari concittadini pensavate che solo i nostri politici fossero dei “selfish assholes” (stavolta l’inglese non lo traduco, ma vi assicuro che ho usato il termine adatto!)