Pubblicato il 17 NOvembre sul settimnanale Fabrianese ‘L’Azione’
All’annuncio della vittoria di Barack Obama la sala stampa dell’Eurovisione nel centro congressi di Boston e’ esplosa in un applauso spontaneo. E cosi’ tutte le altre. A parte quella del network apertamente pro repubblicano Fox News. Non si sa bene se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma in genere tra giornalisti e repubblicani in America non corre buon sangue. I primi li criticano e i secondi lesinano l’accesso a candidati ed eventi.
Applausi dunque: sebbene a un corridoio di distanza, ci fosse un salone pieno di sostenitori, amici, e colleghi di Mitt Romney, venuti da tutti gli Stati Uniti per festeggiare una vittoria che non solo non e’ mai arrivata ma che in realta’ per chi mastica un po’ di matematica elettorale americana non e’ mai stata nemmeno in discussione.
La chiamano “notte elettorale” ( forse perche’ qui si va a letto presto) ma in realta’ la cosa si e’ risolta appena dopo le 11 e gli unici a “fare la notte” siamo stati noi giornalisti europei a causa del fuso orario avverso. Fittizi anche i boati dei giovani “romniani” nella sala accanto, anche loro, come i piu’ anziani sotto il palco, tutti rigorosamente bianchi e incravattati, ad ogni stato che sulla mappa diventava “rosso” (che qui e’ il colore della destra). In realta’ contavano i grandi stati in bilico e due di questi, erano proprio gli stati di nascita dei due candidati sul “ticket”: il Michigan per Romney e il Wisconsin per l’aspirante vice Paul Ryan. Due stati del nord affacciati sui grandi laghi con un glorioso passato industriale e adesso costretti a fronteggiare una globalizzazione delle manifatture che in tempi di crisi come questi non fa sconti a nessuno (una storia che ormai, cari concittadini, conosciamo bene anche noi).
Cosi’ appena Michigan e Wisconsin (rispettivamente patria delle automobili e del formaggio) sono “diventati blu” si e’ capito chiaramente che anche il vicino Ohio, stato geograficamente e economicamente simile agli altri due ma piu’ grande e piu’ in bilico – dunque decisivo – avrebbe presto fatto la stessa fine. E cosi’ e’ stato. Con buona pace degli analisti della Fox – che in onda per un ora hanno contestato le proiezioni dei colleghi – e dei membri dello staff di Romney – che non avendo preparato, per scaramanzia dicono, un discorso da “perdente” – hanno aspettato ancora piu’ a lungo per far uscire il candidato sconfitto a liquidare amici colleghi e fan con appena tre miniuti di rassegnato congedo (almeno temporaneo) dalla politica con piu’ lodi alla moglie e preghiere per il nuovo presidente che indicazioni strategiche per il futuro partito d’opposizione. Un discorso breve che, seppur di gran classe, gli ha fatto incassare qualche sonoro fischio – comprensibile visto i soldi spesi da molti dei presenti per la campagna elettorale piu’ costosa della storia.
A Chicago invece atmosfera diametralmente opposta: al centro congressi Mc Cormick (non in un salone dello stesso, con accesso strettamente limitato) 18,000 persone di tutti i colori, sia in senso di abbigliamento che di pelle, hanno ballato sulle note di Bruce Springsteen prima di sottolineare con cori e boati da stadio il discorso del presidente rieletto, pronunciato col carisma di sempre e i toni in crescendo, a lui cari, tipici dei predicatori battisti. E Presumo che la sala stampa abbia applaudito e festeggiato anche li’.
Ma la festa e’ destinata a durare poco – anzi per quando leggerete questo articolo sara’ gia’ finita da un pezzo.
Il governo Obama-bis (per usare un termine caro al politichese italiano) dovra’ fare i conti (e’ davvero il caso di dirlo) con una Camera a maggioranza Repubblicana che ha gia’ dichiarato per bocca del presidente John Boenher l’intenzione di non votare aumenti delle tasse, nemmeno per chi – come proposto da Obama – guadagna piu’ di 250,000 dollari l’anno. Il 31 dicembre prossimo scadono gli sconti fiscali di George W Bush e il buco in bilancio e’ tale da costringere lo stato a una spending review (che qui in realta’ non si chiama nemmeno cosi’) che trasformera’ la “coperta corta” dei programmi federali in un plaid striminzito. Lo chiamano fiscal cliff “precipizio fiscale” e con una nazione cosi’ polarizzata ci sono ottime possibilita’ di caderci dentro un po’ tutti. Giornalisti compresi.