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Cari concittadini,
Venerdi’ 27 Gennaio scorso, a mezzogiorno, e’ morto mio padre, Ezio Salimbeni. Molti di voi lo conoscevano, e vista l’affluenza alla veglia e al funerale, lo amavano anche. Quanto lo amassi io lo leggerete fra qualche rigo, nell’elogio funebre che ho letto in chiesa, durante le sue esequie, e che qui pubblico integralmente.
Ma prima voglio dirvi un’altra cosa, che nell’elogio non c’e’, e che vorrei comunicarvi. Come sapete ho passato meta’ della mia vita in America, e all’ America, e alla cultura anglosassone che li’ regna sovrana, devo il mio rapporto con la morte.
Io ci sono arrivato da italiano, con tutti i pregiudizi e i tabu’ che la nostra cultura ci impone quando ci misuriamo con il fine vita. Eppure dopo tanto tempo passato li’, il loro rapporto con la morte mi si e’ attaccato addosso: me ne sono reso conto proprio in questi terribili giorni e di questo, dico la verita’, ringrazio Iddio.
Mi spiego meglio: in italia, di morte non si parla .. mai,!! La morte non fa ridere. Non viene messa nei film e nelle pubblicita’. I cimiteri sono chiusi e lontani dall’abitato. E quando se ne deve per forza parlare gli scongiuri si sprecano.
Invece, in America … beh, faccio solo un esempio che rende l’idea: nella vecchia scuola di mio figlio, a Boston, i bambini giocavano a calcio in un campo diviso dal cimitero da una rete. Dall’altra parte c’erano una serie di tombe, a vista, come fosse il pubblico sugli spalti. Non solo, andandolo a prendere a scuola, nell’entrata dello stesso cimitero c’era un grande cartello pubblicitario che concludeva con la scritta, “ci sono tombe libere, affrettatevi!”
Io, chiaramente, da buon italiano, lasciavo il volante con entrambe le mani ogni volta che passavo di li. Eppure pensandoci bene, erano e sono tutti modi per abituarsi alla morte, senza esorcizzarla e senza esserne meno spaventati (per carita’, fa paura anche a loro), ma semplicemente considerarla parte dell’esistenza.
Dunque parlarne, metterla nei film e nelle pubblicita’, e considerarla anche quando e’ lontana. Magari affrontare il discorso dei costi del fine vita, quando la vita ancora c’e’; e magari fare un po’ di polemica costruttiva sul fatto che qui da noi lo stato mette le famiglie in lutto in un altro calvario di burocrazia e di uffici col cadavere ancora caldo e che magari potrebbe anche farlo diversamente, con tempi e procedure piu agevoli, senza causare danni irreparabili alla pubblica amministrazione.
Ecco cari concittadini, abituarsi alla morte – almeno secondo la parte piu americana di me – non e’ alla fine cosi male. Se non altro, quando per forza di cose ci sbatti il muso, il tutto sara’ un po’ meno traumatico, come lo e’ stato per me. Senza contare che qualche scongiuro in meno ridurrebbe anche il rischio di guidare senza mani.
Elogio Funebre pronunciato al funerale di mio Padre Ezio il 29 gennaio scorso nella chiesa della Misericordia
A questo signore qui’ invidio, ovviamente in senso buono, tutto:
Tanto per cominciare la vita: lunga, piena di amore, di relazioni, e di significato, da tutti i punti di vista. Come la voleva lui. E come la vogliamo tutti
La morte: rapida, senza sofferenza, senza nemmeno sapere che sta arrivando. Come la voleva lui. E come la vogliamo tutti.
E anche la veglia e il funerale, pieni zeppi di gente (e a 85 anni cosi’ se ne vedono pochi), di tutte le eta’ e di tutte le estrazioni sociali. Praticamente una festa, che celebra la sua lunga e intensa vita. Come voleva lui. E come probabilmente la vogliamo tutti … lui chiaramente ci voleva anche un po’ di Ferrari … e sono arrivate anche quelle. Grazie, anche da parte sua.
Dunque tutto bene, no? Ecco se fosse un lontano parente o un conoscente, si! Una bella firma col sangue, e tutti a casa.
Pero, quel signore, si da il caso che sia mio Padre. E quell’altro Signore lassu’, piu in alto di lui, ha congeniato le nostre teste in modo tale che si’, comprendiamo le leggi di natura, e, quando – secondo noi – girano al dritto, le accettiamo pure. Eppure, quando toccano la nostra famiglia, e gli affetti piu’ cari, non le capiamo piu, e per quanto mi riguarda sarebbe stato troppo presto anche se questo fosse accaduto fra vent’anni. Purtroppo, come tutti capirete, parte della mia testa di figlio, proprio per un difetto di fabbrica, funziona cosi.
E tra l’altro, io con quest’uomo, babbo Ezio, avevo un rapporto speciale. E per una volta – di solito non lo faccio mai – prendo a prestito, parafrasandola, una frase di Eugenio Finardi: “Babbo Ezio ha fatto crescere i miei sogni e mi ha aiutato a realizzarli.”
Faccio pochi esempi, tanto ci conoscete tutti: a sette anni mi mando’ a imparare l’inglese, mentre lui non ne ha mai parlato una parola. A nove mi ha portato a Monza, a vedere il primo gran premio di Formula 1. A quindici mi aveva gia’ portato in Sud America, In India e a New York! Se lo chiamavo, LO SPONSOR, non era un caso. Babbo Ezio e’ stato da sempre lo sponsor della mia vita, mi ha fatto crescere i sogni e mi ha aiutato a realizzarli.
Io dal canto mio ho fatto il possibile per ripagarlo. Tanto per cominciare da tutti i posti dove ho vissuto sono sempre tornato a casa, spesso e volentieri. E tutta la vita ho provato a dargli indietro tutte le soddisfazioni possibili. Cito solo le ultime due, in ordine di tempo,
il Cavalierato della Repubblica, conferitomi l’anno scorso, e la presenza tra i centouno cittadini piu’ famosi della storia di Fabriano, in un libro presentato l’altro ieri di cui pero lui, Grazie a Dio gia’ sapeva. Glielo avrei dedicato anche da vivo – anche perche’ la mia carriera da giornalista la devo in gran parte a lui – e invece ho dovuto farlo da morto, mentre vegliavo la sua salma. Spero che la dedica l’abbia sentita dal paradiso, LO SPONSOR, dove probabilmente stava gia’ guidando la Ferrari che San Pietro teneva in Caldo per lui.
Ma lui, babbo Ezio, e’ stato anche LO SPONSOR della mia famiglia, di mia Madre Sisa tanto per cominciare, di mio fratello Piergiorgio, del nipote, Ezio, che si chiama come lui, dei dipendenti che sono tutti diventati suoi amici, dei Motozappa di cui era il primo grande fan, degli amici stretti e qui ce sono tanti, e in realta’ di tutti voi anche solo per una cena e una cantata a casa nostra.
Dunque per salutarlo come si deve chiedo a tutti di fare, un ultimo, lungo, scrosciante applauso … allo SPONSOR!