A Colloquio con Andrea Carfi’, a capo del team che negli USA ha sviluppato il siero dell’azienda “Moderna”.
“Il nostro brevetto e’ sicuro e funziona. Lo Abbiamo prodotto in tempi record. E’ la prima volta nella storia delle biotecnologie e vi spiego perche'”
Andrea Carfi’ e’ l’ultimo, in ordine di tempo, di una lunga serie di scienziati, nati cresciuti e formati in Italia ad inventarsi qualcosa per cambiare, in meglio, il mondo. E come tanti altri suoi – piu’ o meno illustri, predecessori – e’ venuto a farlo qui, negli Stati Uniti. Piu’ precisamente a Cambridge, Massachusetts (praticamente – anche se non amministrativamente – un quartiere di Boston) ormai considerata la mecca dell’industria biotecnologica mondiale.
Catanese di nascita, ragusano di crescita, pavese di laurea – poi “francese” e infine “bostoniano” di specializzazione – Carfi’ ci si trasferi’ una decina di anni fa con la moglie, Laura, ricercatrice anche lei – quando dopo un inizio carriera Italiano presso la IRBM, fu assunto al reparto vaccini dalla Novartis – una delle aziende che al tempo facevano a gara per accaparrarsi un “posto al sole” attorno all’MIT (il mitico Massachusetts Institute of Technology) trasformando la “Trastevere” – o meglio la “Trans-Charles River” – di Boston, in una vera e propria “Biotech City”.
Moderna, l’azienda per cui lavora oggi come capo della ricerca per le malattie infettive, e per cui ha sviluppato il vaccino che promette di sconfiggere la peggiore pandemia a memoria d’uomo, avrebbe potuto secondo lui, “nascere, crescere e prosperare solo qui, in un distretto di eccellenza mondiale con una sinergia senza eguali tra ricerca e investitori”.
E noi qui l’abbiamo incontrato, nel suo appartamento di Cambridge, intento ad ascoltare sotto l’albero di natale, una lezione di “Mamma” Laura alle due figlie sul valore delle carte (napoletane come lei) nel gioco del sette e mezzo.
Dott. Carfi’, ormai siamo diventati tutti “esperti da bar”, di anticorpi monoclonali, risposte immunitarie ecc.. non le fa uno strano effetto sentir parlare di cio’ che fa, da sempre, per lavoro, come se si parlasse di calcio?
Mi fa effetto si’! Ma la cosa ha anche dei lati positivi: visto che l’argomento riguarda tutti l’opinione pubblica tende ad essere piu’ informata sui vaccini, sulle loro varie fasi di sviluppo e di eventuale approvazione, e soprattutto sui loro benefici. Ed e’ molto importante che tutti capiscano come i vaccini possano aiutare il mondo a tornare alla normalita’.
Siamo tutti rimasti sorpresi – molti piacevolmente, alcuni con sospetto – da quanto relativamente rapidi siano stati i tempi in questo caso. Come siete riusciti a raggiungere, in meno di un anno, un risultato che di solito ne richiede dieci o quindici?
I motivi sono fondamentalmente tre:
UNO – la tecnologia del cosiddetto “RNA messaggero” che ha tempi molto piu’ brevi grazie al fatto che non si usano cellule e non si crescono virus in laboratorio.
DUE – i miliardi stanziati dal governo americano che hanno permesso a noi, e ad altri, di correre rischi – attenzione, NON per le persone bensi’ per l’investimento! Mi spiego, noi abbiamo cominciato a produrre il vaccino molto prima di sapere se funzionasse o meno, cosa che in condizioni normali non si farebbe mai perche’ si rischierebbe di buttare tutto. Stavolta pero’ – visto che i tempi avevano importanza capitale – a coprire e garantire quel rischio ci ha pensato il governo.
TRE – la collaborazione con gli enti regolatori che ci hanno guidato durante le varie fasi di sviluppo del vaccino e risposto rapidamente a tutte le nostre domande
E se ne potrebbe anche aggiungere un quarto:
per condurre uno studio clinico, e dimostrarne l’efficacia, c’e’ bisogno di una quantita’ “X” di persone che si ammalano, quantita’ non sempre facile da reperire: ecco nel caso del Covid (purtroppo in un senso, per fortuna nell’altro) il problema non si e’ mai posto.
Tra l’altro l’approvazione appena ricevuta non e’ nemmeno quella finale ma, formalmente, riguarda solo la somministrazione in casi di emergenza. In altre parole, nel caso di problemi gravi o diffusi, l’FDA (l’ente Federale Americano del Farmaco) puo’ decidere in ogni momento – come e’ gia’ successo in passato con altre molecole – di farci smettere di usare il nostro vaccino.
Eppure lei sa bene, e lo sappiamo anche noi, che molti si rifiuteranno di sottoporvisi. Grazie a Dio nei nostri ordinamenti sia Americani che Europei non si puo’ obbligare ma solo convincere. Ci dica dunque a chiare lettere, perche’ secondo lei (a parte il vostro profitto che comunque realizzereste in ogni caso) vaccinarsi e’ “cosa buona e giusta”?
Il vaccino non serve solo a proteggere noi stessi ma anche ad aiutare gli altri, quelli che non possono riceverlo: soggetti affetti da altre malattie, donne incinte, bambini e via dicendo .. tutte categorie per le quali tra l’altro sono in corso studi atti a capire se e come vaccinarle.
Quel che invece e’ abbondantemente provato e’ che piu’ persone risultano vaccinate, minore e’ il rischio che il virus si diffonda da persona a persona. E’ una scelta che facciamo come societa’. Decidere di non vaccinarsi e’ un atto di egoismo!
Nonostante nessuno, specie di questi tempi, si azzardi a pianificare il futuro, dalla sua prospettiva in un certo senso privilegiata, che aspetto ha il calendario dell’anno che sta per iniziare?
Io sono molto ottimista: se non altro sappiamo che questi vaccini funzionano. E sono sicuri, oltre che molto efficaci, dunque e’ solo questione di tempo. Adesso bisogna cominciare a usarli e penso che nell’arco dei prossimi sei mesi – soprattutto qui in America, grazie, ripeto, ai miliardi di investimenti pubblici – si riesca, seppur gradualmente, se non a togliere del tutto le mascherine, almeno a tornare a una sorta di normalita’. Per l’Europa forse ci vorra’ qualche mese in piu’.
Certo quello che s’intendera’ poi per “vita normale” non sta a me dirlo, ma sono sicuro che la pandemia lascera’ il segno sia nelle menti che nei rapporti sociali. Dopo tutto e’ stata – ed e’ ancora – una guerra! Per la verita’, adesso i racconti dei nonni hanno molto piu’ senso e qualche storia da raccontare ai nipotini, dopo questa esperienza, ce l’avremo anche noi!