Stati Uniti nella Tempesta Perfetta – Famiglia Cristiana (Cartaceo!)

Un mix esplosivo di problemi ha gettato il paese nel caos. Ad alimentare la tensione sociale la macchina propagandistica di Trump.

Dettaglio copertina
Una sfortuna nella sfortuna … nella sfortuna!
Il Coronavirus non poteva colpire l’America in un momento peggiore: non solo in un anno elettorale ma con una Casa Bianca palesemente piu’ preoccupata di un possibile trasloco che della peggior crisi sanitaria, economica e sociale a memoria d’uomo.

In altre parole una catastrofe “al cubo” – almeno fino al 3 novembre prossimo. Solo allora, a prescindere dal vincitore (ammesso che dalle urne ne esca uno certo), quando ne’ destra ne’ sinistra avranno piu’ bisogno di politicizzare tutto – dalle mascherine alle immagini dei morti ammazzati per strada – forse si cominceranno a percepire davvero tutti gli “effetti collaterali” del virus , e senza le lenti distorte della politica “partigiana”, magari si porta’ anche iniziare a risolverne qualcuno.

Nel frattempo ci si continua ad ammalare, e purtroppo a morire, a ritmi da record mondiale: dopo il picco iniziale, arrivato a mietere, al giorno, lo stesso numero di vittime dell’undici settembre, adesso si viaggia stabili sui mille morti al di’(l’equivalente di due Boeing 747). Presto, visto che nei weekend di festa come quello appena trascorso del Labor Day, tra spiaggie, grigliate e assembramenti vari sembra festeggiare anche il virus, si raggiungeranno i 200,000 (piu’ dei caduti americani in Vietnam, Corea e Europa durante la Prima Guerra Mondiale – dove la ‘Spagnola’ ne falcio’ tra l’altro piu’ della mitraglia). Anche nei nuovi contagi gli USA non sono secondi a nessuno. La soglia psicologica dei 7,200,000, cioe’ due americani malati su cento, e’ dietro l’angolo. Certo, circa la meta’ sono gia’ guariti, ma non tutti – si sa – senza conseguenze.

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“Il gusto e l’olfatto mi erano spariti del tutto. Ora il gusto e’ tornato, ma l’olfatto quasi per niente. Prima riuscivo a capire dall’odore se c’era zucchero nel caffe …” Ricorda rassegnata Assunta de Rienzo ricercatrice e capo laboratorio alla Harvard Medical School. “Ah, il caffe’…” contunua con un sospiro “adesso sento appena qualcosa per tre secondi poi piu’ niente”. Da esperta mondiale di Mesotelioma Assunta conosce bene i disturbi polmonari eppure quando lo scorso aprile accuso’ la prima tosse e i primi mal di testa (“apocalittici” secondo la sua poco medica ma molto efficace definizione) tutto pensava tranne che fosse Covid.

“Ero ossessiva nella prevenzione: maschera sempre, guanti dovunque, spesa e posta in quarantena 3 giorni, eppure …!” Piu’ che i sintomi pero’ e’ stato lo stato d’animo a farla soffrire “Tu vuoi sapere come stanno i tuoi polmoni e loro ti dicono “entro 7 giorni potresti peggiorare, ma non ti azzardare a presentarti qui: se stai male davvero vai al pronto soccorso!” Adesso il Brigham, l’ospedale dove lavoro, ha il piano terra dedicato ma al tempo c’era tanta gente malata: magari non ai livelli di Bergamo e Brescia ma non sapevano piu che pesci pigliare!”

Qui, come ovunque, il Covid ha preso tutti di sorpresa, tuttavia in una mecca mondiale della medicina come Boston la reazione e’ arrivata prima e piu’ efficace che altrove.

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“Il COVID 19 ha cambiato radicalmente la mia vita professionale sia da manager di una struttura sanitaria che come medico praticante: ha complicato anche le cose piu’ semplici come lasciare che i pazienti compilassero un modulo con una penna” spiega il Dr. John Foster internista e medico di base con esperienza 30ennale. “Incoraggia il fatto che il Massachusetts è stato ed e’ un modello nella gestione del coronavirus con un incredibile coordinamento tra il governo locale e la comunità sanitaria. Il nostro attuale tasso di positività è circa 1%. E molte aziende sono state in grado di riaprire in sicurezza. Siamo la dimostrazione che l’allineamento di governo e scienziati, con un messaggio e un piano coerenti, porta eccellenti risultati.”

Purtroppo pero’ – Foster non lo dice ma lo lascia intendere – non succede altrettanto nel resto della nazione. A Parlare chiaro ci pensa Assunta che con molto meno da perdere – e molta piu’ rabbia da sfogare sentenzia: “Il discorso del Presidente sul prato della Casa Bianca con tutta quella gente senza mascherina, a prescindere da quel che ha detto, e’ stato un insulto bello e buono. A me, a tutti gli ammalati e a tutti i morti!”

Le fa eco, Padre Andrea Vicini, da dieci anni docente di Bioetica al Boston College. “Come in tutte le emergenze, come terremoti o uragani, il Covid ha messo in luce non solo le capacita’, ma soprattutto la buona fede e il senso del bene comune di chi ci governa. E vero che gli USA sono un paese federale dove ogni Stato fa un po’ quello che vuole, ma a livello Centrale c’e’ un ruolo di leadership e di responsabilita’ che finora non e stato assolto a dovere.”

Attento osservatore della cosa pubblica, Vicini non ha dubbi sul fatto che il ‘sogno americano” per le fasce piu’ fragili della societa’ sia diventato “piu’ falso e piu ingannevole che mai”. Il virus – con la conseguente crisi economica che ha portato in dote – ha messo drammaticamente in luce la differenza tra chi puo’ permettersi di evitarlo (per esempio lavorando da casa, spostandosi in auto, o semplicemente avendo accesso alla sanita’) e chi no. E ancora meno dubbi ha sulla attuale incapacita’ della politica di riuscire a fare qualcosa a riguardo. Anche perche’ i numeri dell’economia reale – che nonostante una timida ripresa continuano a ricordare la grande depressione degli anni 30 – vengono presentati da ambo le parti a seconda della convenienza.

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“Siamo di fronte a un appropriazione e una distorsione a fini politici dei fatti e delle informazioni” conclude Vicini pesando le parole a una a una “ invece di cercare compromessi e piattaforme comuni di dialogo, si guarda ogni tentativo di collaborazione come ad un tradimento. Questo e’ vero per il Covid cosi come e’ vero per le proteste di Black Lives Matter”.

Ed e’ proprio sulle manifestazioni – che dall’omicidio di George Floyd sconvolgono questa inquieta, e inquietante, estate americana – che la comunicazione diventa sfacciatamente di parte. Dopo tutto i due schieramenti parlavano gia’ lingue completamente diverse e a meno di due mesi dalle elezioni nessuno ha voglia e soprattutto interesse a fare da traduttore. In altre parole c’e’ un’ America esasperata dal virus e dalla crisi che tende a fare di tutta l’erba un fascio e una politica amplificata da giornalisti/tifosi che ci gettano benzina sopra. Il tutto a scapito delle ragioni antiche e sacrosante della protesta stessa.

Tamika Payne consulente per i diritti umani presso, tra gli altri, ONU, e Dipartimento di Stato ne riassume in una frase lo spirito “Molti non hanno ancora fatto i conti con il passato di oppressione che ha dato vita al nostro Paese. Lo stesso slogan elettorale Repubblicano “Rendiamo l’America di nuovo grande” non include un sacco di gente per la quale l’America tanto “Grande” non e’ mai stata”.
Non nuova alle manifestazioni di piazza, racconta di aver partecipato alla prima marcia tenutasi per George Floyd nella sua New York, convinta fosse un evento pacifico, e di essersi trovata, al contrario, lei donna di mezz’eta’, al centro degli scontri peggiori “Ho notato subito l’aggressivita’ della polizia che senza motivo picchiava spintonava, lanciava lacrimoigeni e caricava manifestanti sui furgoni … me compresa! A quel punto ho deciso di andare tutti i giorni anche per spiegare ai piu’ giovani come comportarsi e quali fossero i propri diritti.” Tamika si dice soddisfatta come tanti altri – e non solo afroamericani come lei – che certi nodi siano finalmente venuti al pettine, ma poco convinta che in un’anno elettorale il movimento porti a qualcosa di concreto “se l’America riesce a politicizzare un virus, che speranze abbiamo di lavorare tutti insieme su un problema complesso come l’ingiustizia razziale?”

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Comprensibile, niente da dire, la frustrazione collettiva per antiche disparita’ definite da molti ‘sistemiche’. Ma altrettanto comprensibile il nervosismo della Polizia, di New York cosi’ come dell’America intera, che di botto si e’ trovata con, in un certo senso, le “mani legate” dall’occhio ossessivamente vigile della gogna mediatica.

“Non credo che ci sia del razzismo istituzionale, incorporato nella cultura interna della Polizia: qui a New York, in modo particolare e’ un accusa che non regge, anche perche’ il nostro organico e’ composto per il 65% di minoranze, di “non bianchi”, afferma senza mezzi termini Mitch Weiss responsabile dei rapporti e delle comunicazioni tra il corpo di Polizia piu’ numeroso del mondo e gli abitanti della Grande Mela, uno dei lavori, oggi, piu’ impegnativi e delicati d’America: “Chiaramente come in tutte le organizzazioni ci sono i buoni e i cattivi; di sicuro c’e’ anche qualcuno con dei pregiudizi, noi facciamo il possibile per isolarli e se necessario punirli: ci sono linee guida sia federali e locali, le inchieste sono pubbliche, ma seguiamo procedimenti precisi: chi viene trovato colpevole e’ sanzionato o condannato. Ma non si puo’ – e non si deve – cacciare via nessuno su due piedi solo perche’ lo chiede la piazza”.

Purtroppo le “piazze” dell’America intera, dal caso Floyd in poi, chiedono non solo di scovare e punire – sul serio e in tempi non biblici – le “mele marce”, ma spesso di ridurre (togliendo fondi pubblici) e in certi casi estremi addirittura abolire, “tutto il frutteto.”

Come a Portland, Oregon, sul lato opposto di questa nazione/continente dove per 100 giorni di seguito un gruppo ristretto ma combattivo di manifestanti ha occupato una piccola zona simbolica del centro citta’

“Non e’ la prima volta che qui, viene occupato qualcosa. Questa e una citta molto “di sinistra”, e’ la cosa abbastanza tollerata nella cultura locale” spiega Beth Nakamura, fotoreporter “pluridecorata” dell’”Oregonian”, principale giornale locale, che ha passato gran parte delle cento notti – macchina fotografica in mano – sul campo.

“E stato un dramma in 3 atti: Atto primo, proteste per la morte di Geroge Floyd, come dappertutto; Atto secondo, si calmano le acque ma circa 200 manifestanti occupano un paio di isolati con dentro un Tribunale: se ne accorgono i media, diventa un caso nazionale, Trump manda la Polizia Federale, completamente militarizzata, la gente comune insorge e i manifestanti diventano di nuovo migliaia. Atto terzo, il dramma diventa tragedia: su Portland discendono dai dintorni i sostenitori di Trump, parecchi anche armati, e ci scappa il morto! Anzi due: uno per parte!! Proprio come noi giornalisti avevamo temuto fin dall’inizio!” Beth che in vent’anni non aveva mai visto niente di simile nella sua citta, non ha molte speranze per il quarto Atto. “Temo che di questi morti si facciano dei martiri e che non finisca qui: di sicuro per far passare a Portland questo trauma collettivo ci vorranno anni”.

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Di fatto le proteste non sono state, e non sono, tutte pacifiche: saccheggi, edifici e auto in fiamme si sono visti in parecchie citta’ (anche non sospette). Ma ancora piu’ inquietante e’ il vandalismo contro le statue, colpevoli secondo frange neanche troppo marginali, di celebrare il passato razzista della nazione.

Cominciato con i Generali sudisti (che nella guerra di secessione combatterono per preservare la schiavitu’) lo sciagurato trend si e’ esteso fino alle tante Statue di Cristoforo Colombo – figura simbolo per gli Italoamericani – imbrattate, danneggiate, abbattute e buttate a mare. Il tutto tra l’indulgenza (a parte qualche tardiva e timida condanna) di politici e media di sinistra. “Non si puo scambiare il diritto a manifestare con una licenza di distruggere il simbolo di un popolo intero” tuona giustamente dal Texas, dove vive, Vincenzo Arcobelli Presidente del Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo, dando voce alle lamentele di tante comunita’ Italoamericane disgustate. “E’ un atteggiamento deplorevole, antidemocratico e contro tutti i principi di questa grande nazione”

Certo, anche soffiare sul fuoco della tensione sociale – come fanno il presidente e la sua efficiente macchina da guerra propagandistica, dipingendo a tinte fosche i manifestanti come orde bolsceviche assetate di caos – non e’ che sia il massimo della responsabilita’ e del senso dello Stato. Tuttavia non sorprende che l’amministrazione in carica, dopo mesi di menzogne sul Covid, sia disposta a veder passare qualche carro funebre in piu’. Il terrore a Washington, quello vero, a due mesi dal voto, ormai lo mette solo il camion dei traslochi!

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