Cari concittadini,
Qualche settimana fa promisi a un lettore che mi accusava di eccessiva “apologia d’America”, una lista di cose che non vanno, sulla sponda dell’Oceano da dove scrivo, e che l’emergenza Covid ha fatto improvvisamente affiorare.
E a proposito di roba che viene a galla, comincero’ con una piccola lezione d’inglese, (utile ai fini dell’articolo, vedrete!). La parola “stool” significa “sgabello”, ma anche il prodotto singolo (o anche multiplo – dipende) della normale funzione intestinale. Io lo imparai mio malgrado, in ospedale, quando alla domanda dell’infermiera “come sono i tuoi sgabelli”, risposi, “di legno!”. Fortunatamente il malinteso si chiari’ prima che l’infermiera, convinta che avessi usato una colorita metafora, mi iniettasse un purga da cavallo in vena!
Dicevamo, cari concittadini, io la lista di “stool” della societa’ americana, antichi e recenti, tenuti sott’acqua da una maggioranza silenziosa a cui fa comodo, ed emersi col Covid, gia’ ce l’avevo bella e pronta: sanita’ privata, carenza cronica di assistenza sociale ed economica, costo dell’istruzione alle stelle, giustizialismo spinto all’eccesso della pena capitale, violenza armata, bigottismo religioso politicizzato, leadership miope quanto sciagurata … eccetera!
Poi improvvisamente, due lunedi’ fa’, il video del poliziotto bianco che per nove minuti soffoca col ginocchio l’uomo di colore fino ad ucciderlo, ha fatto schizzare fuori dall’acquitrino della coscienza americana lo “stool” piu’ grosso di tutti, il razzismo, una sorta di mostro di Loch Ness cresciuto a dismisura negli anni, che comprende e ingloba tutti gli altri. E adesso, da due settimane a questa parte, gli spruzzi di quel salto da balena in amore ce li sentiamo inevitabilmente in faccia tutti.
Disgustati? Bene! E’ giusto che lo siate, perche’ il razzismo fa schifo, e schifo deve continuare a fare finche’ non cominciano veramente a cambiare le cose! E purtroppo fino a adesso, se non a parole, le cose non sono cambiate granche’.
Stavolta, cari conterranei lettori vi risparmio il Salimbeni-pensiero sull’argomento: se volete potete trovarlo sulla rivista nazionale “Osservatorio Diritti” sulla quale grazie all’intervista di una brillante collega (conterranea anche lei) ho avuto modo di sfogarmi a dovere.
Vi riservo invece un aneddoto personale (meno divertente di quello sopra ma drammaticamente piu’ istruttivo): l’anno e’ il 1987, lo Stato la West Virginia, io uno studente di quarto superiore durante l’anno all’estero (ebbene si’ sono cosi’ vecchio anche se non sembra!). Trascorro un lungo weekend con una famiglia italoamericana, benestante, rispettabile. La domenica a pranzo, mi scappa detto: “non mi dispiacerebbe frequentare – anche in senso biblico – una ragazza di colore”. Apriti cielo! Neanche avessi bestemmiato la Madonna di Pompei. E nell’escalation di intolleranza verbale che ne segui’, la nonna, neanche troppo rimbambita, sentenzio’ “le negre puzzano!”
Premetto che il “politicamente corretto” (che al tempo non era ancora stato inventato), mi ha sempre dato fastidio al punto da considerarlo, negli eccessi raggiunti ultimamente, una delle cause – per reazione – dell’avvento di Trump.
Eppure quell’insulto razziale gratuito, in tempi e luoghi non sospetti, mi infastidi’ a tal punto da rispondere: “Perche’, pensi che la terza classe del piroscafo con cui sono venuti qui i tuoi profumava?” Vi lascio immaginare come fini’ quel pranzo e quella giornata.
Oggi, trent’anni (non tre secoli) dopo, la cosa sarebbe andata molto diversamente: non tanto perche’ a 50 anni suonati (a differenza che a 17) ormai ho capito che il mondo non si salva con una litigata a pranzo; quanto perche’ basterebbe far ripetere quella frase alla vecchia, registrarla e postarla sui social per far chiudere a ‘sta manica di “stool” il ristorante italiano (finto) che li aveva fatti arricchire. (Come vedete quel pranzo ce l’ho ancora sul gozzo!). Dunque o non l’avrebbe detta in presenza di un telefonino acceso, o qualche parente avveduto, anche se magari razzista quanto lei, l’avrebbe zittita fisicamente.
In realta’ cari concittadini, oggi dei neri d’America non si puo’ piu’ dire niente, neanche per scherzo: dalla loro passione comune per il cocomero e il pollo fritto fino ai complimenti sul ballo, il basket e .. altro, tutto e’ additato come discriminatorio. Ma le parole non costano: le politiche si. E Basta vedere le statistiche sul reddito, l’istruzione, l’aspettativa di vita, la popolazione carceraria, i condannati a morte (compresi i morti di Covid – esattamente il doppio dei bianchi) per capire che in trent’anni praticamente e’ cambiato solo il modo di parlarne.
Fosse la volta buona che con le piazze piene come non si vedevano dal ’68, tanti “stool” di finta sinistra – tanto preoccupati di come chiamare gli afroamericani – cominciano anche a fare qualcosa, magari pagando politicamente ed economicamente di tasca propria, per far smettere l’America, polizia e suo potentissimo sindacato in primis, di trattarli da “negri”.