La morte dell’uomo afroamericano causata da una violenta azione della polizia di Minneapolis svela un sistema americano permeato di razzismo e discriminazione a vari livelli. Un problema antico che ora precipita a causa della politica di Donald Trump e della nuova sfida del Covid-19
Di Giulia Cerqueti
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Gli Stati Uniti sono attraversati da un mare di proteste, marce, sit-in in tutto il Paese e anche fuori dai confini nazionali. La miccia che ha accesso il fuoco è il terribile caso di Minneapolis: la morte di George Floyd, afroamericano di 46 anni, fermato dalla polizia la sera del 25 maggio per aver tentato di usare una banconota falsa da 20 dollari, morto dopo essere stato disteso a terra per nove minuti con il collo premuto con forza dal ginocchio di un poliziotto.
L’agente, come testimonia il video ripreso con il telefonino da una passante, non ha sollevato la gamba di fronte ai ripetuti «I can’t breathe» (non posso respirare) urlati dall’uomo. E neppure davanti alle grida della gente intorno che cercava di richiamare l’attenzione degli agenti sulla gravità della condizione dell’uomo, visibilmente in terribile sofferenza.
Bachelet (Onu): «Troppi afroamericani morti per mano della polizia»
Ancora una volta nella storia d’America si assiste a un episodio di violenza e abuso della forza da parte della polizia contro un cittadino afroamericano. A ricordare i casi degli ultimi anni è stata anche Michelle Bachelet, Alto commissario Onu per i diritti umani:
«Sono costernata di dover aggiungere il nome di George Floyd a quelli di Breonna Taylor, Eric Garner, Michael Brown e molti altri afroamericani disarmati che sono morti nel corso degli anni per mano della polizia – così come persone quali Ahmaud Arbery e Trayvon Martin che sono stati uccisi da membri armati della cittadinanza».
Razzismo Usa: disarmati davanti agli agenti
Eric Garner, 43 anni, vendeva sigarette di contrabbando a Staten Island: nel 2014 morì soffocato da un agente che, per fermarlo, lo aveva preso per il collo. Anche Garner continuò a gridare «non posso respirare», ma restò inascoltato. Per la sua morte il poliziotto responsabile non venne incriminato.
Sempre nel 2014 venne ucciso il 18enne Michael Brown, a Ferguson nel Missouri, colpito dagli spari di un agente: Brown aveva appena commesso un furto, ma era senza armi.
Breonna Taylor, 26 anni, è stata uccisa per sbaglio lo scorso 13 marzo, a Louisville, Kentucky, mentre dormiva, durante l’irruzione in casa di alcuni agenti per un’operazione contro lo spaccio di stupefacenti.
Trayvon Martin di anni ne aveva 17 ed era incensurato: nel 2012 a Miami Gardens venne colpito per la strada da un vigilante volontario delle ronde di quartiere che lo aveva scambiato per un ladro. Il ragazzo era disarmato.
Risale allo scorso 23 febbraio la morte di Ahmaud Arbery, 25enne della Georgia: era uscito per fare jogging, due cittadini bianchi lo hanno colpito sospettando che fosse stato lui a irrompere poco prima in una casa.
«Radicata e pervasiva discriminazione razziale»
La Bachelet ha accolto con favore l’annuncio delle autorità federali di Washington di voler condurre un’indagine sul caso. Ma, osserva, «in troppi casi nel passato queste indagini hanno fatto sì che le uccisioni venissero giustificate su basi discutibili, o indirizzate soltanto a misure amministrative. Anche il ruolo che la radicata e pervasiva discriminazione razziale gioca in queste morti deve essere esaminato, debitamente riconosciuto e affrontato».
La nazione che ha avuto un presidente afroamericano, Barack Obama, continua a fare i conti con una la discriminazione verso le minoranze.
Il razzismo negli Usa: un problema antico e mai risolto
«Partiamo da un presupposto: il razzismo negli Stati Uniti è un problema antico, mai risolto», dice a Osservatorio Diritti Stefano Salimbeni, 51 anni, giornalista residente a Boston da 25 anni, che lavora per Rai Italia.
«La cultura razzista che pervade gli ambienti della polizia americana è un fenomeno ben noto e molto difficile da estirpare. In certi quartieri delle grandi città, si parte dall’idea preconcetta che se sei un nero probabilmente hai commesso qualcosa di illecito. I poliziotti hanno pregiudizi e gli afroamericani coltivano a loro volta una viscerale paura nei confronti della polizia. Si va avanti con una totale sfiducia reciproca. Va anche detto, a onor del vero, che in alcune zone e quartieri d’America i poliziotti vivono con il terrore perché la violenza è dilagante e si spara e si ammazza ancora prima di chiedere il nome. Ovviamente tutto questo non giustifica gli abusi da parte della polizia».
L’America è «segregata mentalmente»
Gli Usa, spiega Salimbeni, hanno sempre avuto una tendenza: nascondere la polvere sotto il tappeto piuttosto che rimuoverla. I problemi spesso vengono nascosti, invece che affrontati e gestiti. Questo succede anche con razzismo e pregiudizi verso le minoranze, in una nazione in cui al cammino dell’affermazione dei diritti civili in molti casi non ha corrisposto un reale cambiamento della mentalità e dell’immaginario collettivo.
«Si pensava che bastasse cambiare i nomi, sostituire la parola black (nero) con il politicamente corretto african american per cambiare le cose, ma si tratta di ipocrisia. La segregazione è finita da decenni, è un lontano ricordo. Ma buona parte dell’America è ancora segregata mentalmente: esistono dei confini immaginari, non fisici, ma ugualmente significativi, tra quartieri adiacenti, perfino all’interno di una stessa strada: così, capita che una via da un lato sia abitata da un certo tipo di persone, bianche e benestanti, dall’altro lato da afroamericani, poveri e marginalizzati». Vicini, sì, ma nettamente separati.
Pena di morte: se sei afroamericano rischi di più
La discriminazione razziale negli Usa – va ricordato – tuttora è un elemento rilevante nelle condanne alla pena di morte. Come sottolinea l’organizzazione National coalition to abolish the death penalty, in America la pena capitale viene comminata in modo sproporzionato alle persone di colore rispetto ai bianchi.
Inoltre, osserva l’organizzazione, spesso accade che nelle giurie popolari che devono giudicare i processi, vengano intenzionalmente esclusi giurati su base razziale per il pregiudizio secondo il quale un afroamericano non possa servire come giurato con la stessa correttezza e onestà di un bianco.
Altra questione: la pena di morte viene richiesta e comminata più spesso contro imputati che hanno ucciso vittime bianche piuttosto che afroamericane o di origine ispanica.
Razzismo Usa, coronavirus e sistema sanitario
In questo quadro generale di razzismo sotto traccia, latente e mai davvero risolto, oggi si è inserita di prepotenza la pandemia del nuovo coronavirus che esaspera i contrasti e approfondisce le discriminazioni razziali e insieme sociali, nel primo Paese al mondo per numero di contagi.
Commenta Salimbeni: «Il Coronavirus ha messo in luce con forza tutte le storture, le fragilità e le ingiustizie del sistema americano. Qui non esiste l’idea di welfare che è alla base di molte altre democrazie. Chi è che rischia e si ammala di più? Dopo le persone più anziane, sono coloro che devono andare a lavorare per forza, perché svolgono servizi essenziali, come ad esempio le pulizie, che sono spesso i lavori meno retribuiti. E chi svolge questi mestieri sono perlopiù i cosiddetti black and brown (neri e marroni), gli afroamericani e i latinoamericani.
«Ora – dice ancora Salimbeni – pensiamo che negli Stati Uniti la sanità di fatto non è considerata come un diritto garantito a priori: te la devi comprare. Più di 40 milioni di persone non hanno un’assicurazione sanitaria: la maggior parte sono gli working poor, ovvero i poveri che lavorano, tanti bianchi, ma soprattutto neri e latini, gli stessi che nel periodo del Covid-19 sono più a rischio. E che, se si ammalano, non possono avere assistenza perché non sanno come pagarla».
Razzismo Usa e divisioni ai tempi di Donald Trump
L’amministrazione di Donald Trump ha peggiorato terribilmente la cose, esasperando i contrasti e alimentando un clima di tensione sociale e razziale, già molto tempo prima della pandemia. «In questi anni di presidenza, Trump si è avvicinato agli esponenti di ultradestra dando loro credito e accaparrandosi il loro favore. Ha legittimato movimenti estremisti e razzisti come quello dei suprematisti bianchi. Nel caso di Minneapolis, invece di smorzare i toni, ha gettato litri e litri di benzina sul fuoco, alimentando le divisioni, lo scontro e la guerra tra i disperati, bianchi poveri contro afroamericani altrettanto poveri».
Mai in America si erano viste manifestazioni e proteste così vaste per l’uccisione di un afroamericano dai tempi dell’assassinio di Martin Luther King, nel 1968, aggiunge il giornalista. «Io amo questa nazione. Ma Trump ne sta facendo scempio. In 25 anni di vita qui non ho mai visto gli Usa ridotti così male. Il livello della divisione ideologica e quello della tensione sociale non sono mai stati così alti. Oggi, l’America è una nazione a pezzi».