Un Ricordo – Personale e Grato – del “Collega” Vittorio Zucconi
“E’ tutta colpa tua!” dissi a Vittorio Zucconi la prima volta che lo incontrai, o meglio, lo incrociai, nel corridoi della Sede RAI di New York. Correva l’anno 2001. E correvo anch’io con una pila di cassette in braccio (ebbene si’ giovani lettori al tempo la TV si faceva con quelle – grosse, pesanti e scivolose per giunta) per montare in tempo l’ennesimo pezzo, per l’ennesima edizione del TG2 che raccontava in tempo reale gli effetti su New York e sul mondo degli attentati dell’11 settembre successi pochi giorni prima.
La “Colpa” di cui bonariamente lo accusavo era quella di aver scritto i libri che dieci anni prima, poco piu’ che ventenne, e ancora in fase decisionale riguardo il resto della mia vita, fugarono, come un ciclone, gli ultimi dubbi rimasti sul fare, o no, il giornalista. Li avevo letti tutti. Ma uno in particolare mi eccito’ fino al cambio della biancheria intima (lo so la metafora e’ un po’ forte ma in questo caso e’ l’unica che rende l’idea): “Parola di giornalista”, un compendio in prima persona sulle gioie e i dolori – ma soprattutto le gioie – del mestiere del cronista.
Enzo Aprea lo chiamava Il “mestieraccio”; Luca Goldoni lo defini’ “sempre meglio che lavorare”; e il padre di tutti i giornalisti Italiani Indro Montanelli ammise in un famoso aforisma che l’avrebbe fatto “anche gratis, mangiando non so che cosa!”. In tanti (i tre appena citati, ma anche Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Beppe Severgnini, … la lista dei libri che ho letto sull’argomento e troppo lunga per stilarla per intero) a un certo punto della loro carriera hanno sentito il bisogno di dichiarare, quasi di giustificare il loro amore (parola che non uso spesso ma stavolta di questo si tratta) per quello che piu’ che un lavoro, e piu’ di molti altri, e’ senza mezzi termini una vera e propria ragione di vita. Che ti definisce e ti identifica, 24 ore al giorno e 365 giorni l’anno … 366 in quelli bisestili, e che data l’assoluta mancanza di certezze, non si fa per nessun altro motivo che per – ripeto – amore!
E non so nemmeno se Vittorio Zucconi (figlio d’arte e penna ancor piu’ sopraffina del bravissimo padre, Vittorio) abbia espresso questo sentimento meglio dei suoi tanti colleghi e, in questo senso, compagni di “vocazione”. Forse fu solo una questione di tempistica, e il suo libro mi capito’ in mano semplicemente al momento giusto. Di fatto il mio portfolio di articoli scritti incomincia non a caso con una frase presa da “Parola di Giornalista”: “… e’ l’emozione della prima “firma” che come la droga lascia la voglia di un’altra e di una altra ancora!”
Io quella firma la misi proprio qui, sulle pagine di questo giornale, esattamente nel settembre 1989. Ebbene trent’anni, centinaia di articoli, e oltre 1200 servizi televisivi dopo, sono ancora, piu’ che mai, dipendente da quella droga, quello schizzo di adrenalina che quando leggi il tuo nome stampato – magari su una rivista nazionale – o lo senti pronunciato dal conduttore di un programma in onda in tutto il mondo, ti pervade interamente il cervello; la stessa adrenalina rimessa in circolo da ogni complimento di chi ti ha letto, ascoltato o visto in TV, e che in un attimo giustifica e cancella tutte le ore di sono perse, le cene le feste e le vacanze mancate, le litigate con la compagna di turno, le bollette scadute e le telefonate dalla banca; tutto pur di trovare l’aggettivo o il fotogramma giusto. Altro che antidepressivi!
Ecco di quella droga ne avevo gia’ chiari gli effetti – e i costi – quando accusai la buonanima di Vittorio Zucconi di esserne stato, se non il primo, in assoluto il mio piu’ influente, spacciatore.
Ci rincontrammo altre volte, una volta lo intervistai anche, e in quell’occasione passammo una serata assieme nella quale dopo aver ammesso di essere (come tutti gli italiani all’estero) un mio telespettatore, parlammo a lungo della nostra comune ossessione e di quel nostro primo, fugace, (e per me indimenticabile … la famosa prima volta che non si scorda mai) incontro nei corridoi della RAI. Lui andava molto di fretta e io ero ancora un oscuro producer come ce ne sono tanti. Mi liquido’ con un “Mi pento e mi dolgo, … che vergogna!”. Poi mi fece l’occhietto con quel suo classico sorriso sornione di chi la sa – e sa di saperla – lunga! Aveva capito benissimo che quel ragazzotto trafelato con le cassette scivolose in braccio, in quel momento non sarebbe voluto essere da nessun’altra parte a fare nient’altro.
Oggi quasi vent’anni dopo, a cinquanta appena “suonati”, e’ ancora esattamente cosi. Da allora il mio portfolio e’ cresciuto a dismisura ma continua non solo ad aprirsi ma anche a chiudersi con un frase di Vittorio Zucconi, la stessa con cui lui conclude il libro “incriminato” e che almeno per me rimane piu’ azzeccata che mai: “non date troppo credito alle lamentele dei giornalisti … vi racconteranno di aver dato una vita al giornalismo, e invece e’ il giornalismo che ha dato loro una vita.”
Parola di Giornalista!