Cinque anni or sono il Time magazine nominava Mark Zuckerberg uomo, anzi (nella dicitura politicamente corretta, adotatta nel 1999) “persona” dell’anno. Nel caso del fondatore di Facebook – nonché, attualmente tra i dieci uomini (o “persone” che dir si voglia) più ricchi d’America, il lungo articolo che lo storico settimanale dedica al personaggio giudicato influente nelle vicende dell’anno appena trascorso rimane il ritratto più completo, approfondito e – si spera, vista la fonte – affidabile. Di fatto quel profilo tracciato dall’autorevole redattore e critico letterario Lev Grossman, scagionava Zuckerberg al tempo 26enne – e già padre, a tutti gli effetti, del ‘social network’ per eccellenza, dall’immagine di “nerd” socialmente handicappato, e imprenditore senza scrupoli, incarnata dall’attore Jesse Eisenberg, in ‘The Social Network’ appunto, biografia cinematografica, tutt’altro che lusinghiera, e poco gradita dal protagonista quanto, evidentemente apprezzata da pubblico e critica visti i successi al botteghino, i 3 Oscar e i 4 Golden Globes.
Secondo Grossman, lo Zuckerberg del film è in gran parte “pura finzione”. Pur confermandone le idiosincrasie – abbastanza comuni, come da stereotipo, tra i geni dell’informatica – nel comportamento e nell’interazione sociale, lo descrive infatti, come una “presenza calorosa, e non fredda come ci si potrebbe aspettare, descritto da tutti i suoi impiegati [oggi quasi 12.000] con un affetto e una stima che va ben al di là del desiderio di mantenere il posto di lavoro”. Un rischio che poi probabilmente nemmeno avrebbero corso parlandone male: tanto per fare un esempio, al film in questione Zuckerberg reagì non solo affittando una serie di sale cinematografiche per offrire ai suoi dipendenti la possibilità di andare a vederlo, gratis, tutti insieme, ma anche incontrando, in TV, dal vivo, l’attore Jesse Eisenberg durante una puntata del popolarissimo programma comico Saturday Night Live, stemperando così nel modo più elegante possibile la tensione mediatica che era andata montando attorno al caso.
Ma i tratti piu’ importanti tracciati da Grossman, in una biografia che parte dai giorni in cui un dodicenne Zuckerberg giocava, nel benestante sobborgo newyorchese di Dobbs Ferry dov’è nato nel 1984, a collegare i computer di casa con quelli dello studio del padre dentista al piano di sotto, riguardano la buona fede delle sue motivazioni e il suo rapporto, che definisce di “indifferenza quasi patologica” con il denaro. Questo elemento ritorna più volte nelle oltre 8.000 parole dell’articolo tanto da concludere che, almeno secondo l’intervistatore, Facebook, (azienda che ruota attorno alla figura del suo creatore al punto che il simbolo è bianco e blu non per calcoli di marketing ma perché sono colori che Zuckerber, parzialmente daltonico, riesce a distinguere chiaramente) non è mai stato alimentato dal desiderio di fare soldi, quanto da una genuina volontà di rendere il mondo migliore – almeno secondo l’intervistato.
Dunque i conti, in teoria, tornano: e l’annuncio del padre del social network che come scrisse profeticamente Grossman nel 2010 “sta cambiando il modo in cui i membri della specie umana interagiscono tra di loro”, e da poco anche di una bella bambina di nome Max, rientrerebbe completamente nello spirito del personaggio. E i 45 miliardi di dollari (degli oltre 46 che secondo le stime avrebbe accumulato alla ‘veneranda’ età di 31 anni) che ha detto di voler donare in beneficenza nel corso del resto della sua vita, potrebbero veramente essere destinati, come specificato nella lettera alla figlia postata – guarda caso su Facebook – a cause umanitarie e didattiche. Un’intenzione che diventa ancora più credibile quando si scopre che il “benefattore”, malgrado si dia del tu con capi di Stato e magnati di tutto il mondo, continua, tuttora a lavorare a testa bassa, indossando felpe e t-shirt e girando in utilitaria.
Tuttavia, agli analisti più attenti, primo tra tutti Jesse Eisinberg (non l’attore ma un suo quasi omonimo giornalista economico vincitore del premio Pulitzer) non sono sfuggiti certi dettagli, quelli in cui secondo un popolare detto americano di solito “si nasconde il diavolo”. E il diavolo secondo l’autore del più rumoroso “non mi piace” ricevuto finora da Mr. Facebook, pubblicato dal New York Times, starebbe nel fatto che i fondi verranno dirottati, invece che in una non profit, in una LLC, (Società a Responsbilità Limitata) dove pur esenti da tassazione, sarebbero sottoposti a minori vincoli in quanto all’uso – che includerebbe anche investimenti in attività speculative – e fondamentalmente ancora in mano al suo proprietario. Dunque in soldoni (è proprio il caso di dirlo!), secondo Eisenberg, Zuckerberg si sarebbe passato i soldi da una tasca all’altra, facendo per ora la carità a se stesso e guadagnandoci, tanto per cominciare, un inestimabile ritorno d’immagine.
Più equilibrata l’analisi di ‘The Atlantic: “una LLC significa semplicemente più libertà di azione e di gestione del capitale” , ricorda Gillian White, dalle pagine dello storico e sofisticato mensile di analisi politica interna ed estera, “tutto sta alla direzione in cui questa azione e questa gestione andranno. Per ora,” conclude, “è troppo presto sia per le critiche che per le lodi.” In altre parole, e qui viene spontaneo concordare con la White, prima di accusare Zuckerberg, di essere un evasore travestito da novello San Francesco, come purtroppo tanti ce ne sono – e non solo in America – aspettiamo di vedere cosa farà veramente di quei soldi. Dopo tutto di beneficienza ne ha già fatta, e generosa, per giunta, anche se con risultati finora discutibili: come i 100 milioni donati 4 anni fa per migliorare le scuole del New Jersey, e che, all’oggi non è chiaro dove siano andati a finire. Il problema è che i soldi in questione, stavolta, sono tanti; così tanti che, in un mondo, e specialmente una nazione dove tutto ha un prezzo, rischiano di annebbiare il confine tra pubbliche relazioni e giornalismo. Se poi il personaggio in questione è anche un po’ enigmatico di suo, prima di cliccare “Mi piace” o “Non mi Piace” forse sarà davvero necessario vederlo in azione.