Resconto di una “toccata e fuga”
all’Esposizione Universale di Milano
pubbicato da “L’Azione” il 24 Luglio 2015
Una gioia per gli occhi piu’ che per il palato, una sfida per le gambe – e il portafogli – piu’ che per l’intelletto, e, comunque, alla fine della fiera (qui e’ proprio il caso di dirlo) una boccata d’ossigeno per l’orgoglio (da troppo tempo e troppo spesso) soppresso e calpestato, di essere italiani.
Ovviamente con all’attivo appena sei ore di visita ad un evento che richiederebbe almeno altrettanti giorni, le impressioni “a caldo” (letteralmente, viste le temperature subsahariane del luglio Lombardo) del sottoscritto vanno prese con il beneficio dell’inventario (o con un grano di sale per usare un inglesismo). Magari, cari concittadini, l’EXPO 2015 sara’ anche tutt’altro e molto di piu’; la mia e’ semplicemente la risposta piu’ concisa immediata e spontanea che chi scrive si sente di dare ai tanti tantissimi, che al ritorno da Milano chiedono legittimamente: “allora? com’e’?”
E per sapere, o anche solo per avere un assaggio, di “com’e’” – e il principio non vale solo per l’Expo – bisogna andarci. Magari in treno, come ho fatto io, a bordo di una “freccia”, possibilmente rossa, (ma anche quelle bianche e argento non scherzano) per cominciare ad assaggiare gia’ durante il viaggio quell’”eccellenza italiana” – ahime’ piu’ riconosciuta all’estero che in casa – e che con buona pace di disfattisti e contestatori di vario colore politico, esiste ancora ed esiste eccome.
Viaggiare con punte di 300km all’ora, attraverso le nuovissime stazioni di Bologna e Reggio Emilia dedicate all’alta velocita, e scendendo all’altrettanto avveniristico scalo di Rho Fiera, costruito ad hoc, davanti ai cancelli dell’esposizione universale, prepara psicologicamente al vortice di suggestioni strutturali e tecnologiche da cui si viene avvolti (e un po’travolti, se vogliamo) una volta dentro.
Tanto per cominciare, il Decumano, l’enorme corridoio (o meglio la via prinicipale di quella che e’ a tutti gli effetti una piccola citta’) su cui si affacciano i padiglioni delle 140 nazioni presenti, non lascia dubbio sulla dimensione e il livello di tutta la faccenda: un chilometro e mezzo di camminamento, dal fondo leggermente poroso e dunque gradevole al passeggero, largo come un paio di autostrade e ricoperto da enormi pannelli sfalsati in modo da far entrare aria tenendo tutti al riparo da eventuale pioggia.
Quando dico tutti intendo, … non lo so nemmeno io! A prima vista, appare pressoche’ semideserto; poi con uno sguardo piu’ attento ci si rende conto che si tratta di un effetto ottico dato dalla dimensione delle strutture, e che, in realta’, nonstante fosse solo un torrido mercoledi’ pomeriggio feriale di inizio estate, la quantita’ di gente che vagava tra i padiglioni/opere d’arte che nella maggior parte dei casi sembrano usciti dai sogni di un architetto (e dagli incubi di un ingegnere) poteva corrispondere a quella fuori lo stadio prima di una partita di Coppa o di un autodromo a un gran premio di formula uno. Le stime parlano di 1.300.000 visitatori nei primi mesi di luglio e, considerando i picchi dei fine settimana, i conti tornano.
Gli ultimi dubbi sul numero di presenti spariscono al calar delle tenebre, quando tutti, o quasi, i visitatori distribuiti sui 110 ettari di fiera si riuniscono, come una gigantesca tribu’ attorno al totem, per gustarsi lo spettacolo serale offerto dall’Albero della Vita, il monumento simbolo della kermesse e l’unico – sembra – destinato a rimanere ‘in piedi’ per i posteri, con la speranza di diventare un simbolo della citta’, un po’ come e’ successo alla torre Eiffel a Parigi e l’Atomium di Bruxelles – reliquie anch’esse di Esposizioni universali rispettivamente del 1889 e 1958.
Lo show, un inebriante mix di musica, luci, giochi d’acqua e d’artificio, lungo mezz’ora, degno dei grandi Casino’di Las Vegas ma molto meno kitsch, vale, da solo i 32 euro del biglietto. Tuttavia, una volta li’ diventa obbligatoria una visita al padiglione italiano, una sorta di ‘figura impossibile’, tutto costruito, dicono, con materiali sostenibili, attraverso il quale in enormi sale semivuote tra mega schermi 3D e giochi di specchi si mettono in evidenza le potenzialita’ produttive e tecnologiche del nostro paese nell’agroalimentare – che’ in fondo e’, nonostante le innumerevoli occasioni per dimenticarselo, il tema dell’Expo.
Un altro memento della natura eco-gastronomica dell’evento, e l’impressionante spazio, sempre italiano di degustazione vini, con ben 1300 bottiglie DOC e DOCG a disposizione, tutte in bella mostra, sotto vetro, collegate a dispenser automatici tarati per quantita’ a dir poco simboliche, in un ambiente talmente futuristico e asettico che piu’ che nella cantina di un contadino sembra di essere nell’astronave di Star Trek. Tre assaggi (si fa per dire), 10 euro: no, grazie!
In realta’, per quanto, ripeto, impressionante, “Vino – a taste of Italy” (un assaggio di Italia) uno dei padiglioni che ha fatto forse piu’ parlare di se, ben riassume, almeno secondo il sottoscritto con tutti i limiti imposti dalla brevita’ del “pellegrinaggio”, il vero punto dolente di EXPO 2015, ovvero la sensazione, piuttosto netta per la verita’, riscontrata anche in altri spazi espositivi (quello americano, visitato per dovere di cittadinanza, e quello francese per manifesta superiorita’ enogastronomica) di trovarsi in mezzo a tante belle scatole con poco o niente dentro. Per carita’ di cibo ce ne’ tanto, anche troppo, da tutto il mondo, ma tutto solo esclusivamente in vendita, e a prezzi che di “sostenibile” hanno ben poco.
E proprio di “sostenibilita’”, parola ostentata e onnipresente, o, come dicono quelli che come me hanno fatto el scuole basse, “che adesso va tanto di moda”, all’Expo si parla dappertutto, eppure di agricoltori da paesi in via di sviluppo se ne vedono pochi, mentre abbondano come e’ giusto che sia, i simboli degli sponsor ufficiali della manifestazione tra cui colossi dell’alimentazione industriale come McDonalds e Nestle’ che insomma proprio paladini della lotta allo spreco e del ‘kilometro zero’ non sono; e allora, a uno come me abituato a pensare male (facendo peccato ma azzeccandoci spesso come diceva qualcuno), tra giochi d’acqua che disegnano parole nell’aria e gigantesche repliche – di plastica – di caratteristici mercati rionali all’aperto, viene in mente che gli zeri che stanno a cuore ai veri protagonisti della manifestazione piu’ che quelli davanti ai kilometri siano quelli in fondo alle cifre delle tasse scaricate finanziandola. Cattivi pensieri da giornalista smaliziato, formulati sorseggiando un ottimo caffe’ da 2 euro e mezzo, in tazza biodegradabile, pero’, e con il cucchiaino di legno.
Meglio di niente, direte voi cari concittadini, e in questo caso non posso che darvi ragione. Anzi, mi permetto di aggiungere: da qualche parte bisogna pur cominciare. E EXPO, nonostante tutte le ipocrisie che inevitabilmente circondano le operazioni multimiliardarie e’ un buon punto di partenza; per cominciare a parlare di sostenibilita’ (il fatto che la parola “vada tanto di moda” e’ gia’ un grosso passo avanti) di riduzione degli sprechi, delle potenzialita’ della tecnologia e della globalizzazione in termini non solo di profitto ma anche e soprattutto di giustizia sociale – senza lasciare che la sacrosanta attenzione per quest’ultima diventi miope protesta reazionaria e, in ultima analisi, autodistruttiva.
Ma EXPO deve essere, e nonostante le appena sei ore di visita sono convinto che sia, anche un ottima occasione per cominciare, anzi ricominciare a credere in noi stessi, come individui e come nazione: e’ bello, spazioso, pulito, ben organizzato, e soprattutto, – nonostante sia stato completato all’ultimo momento e lungo la strada qualcuno (come succede sempre e non solo da noi) ci abbia mangiato sopra illegalmente – funziona. E l’abbiamo fatto noi; perche’, in fondo, anche se ultimamente ce ne siamo un po’ dimenticati, noi le cose per bene le sappiamo fare. E lo stiamo dimostrando, anzi ricordando, al mondo, tutti i giorni, fino a quando EXPO chiudera’ i battenti, dopo essere stato visitato, si spera, da almeno 20 milioni di persone.
Spero che tra questi, cari concittadini ci siate anche voi: non solo per bellezza, dimensione, respiro internazionale e il fatto che nella vita (almeno dei miei coetanei) l’occasione di vedere, in Italia, un’altra esposizione universale non si presentera’ piu’. Ma anche e soprattutto per rendersi conto, e testimoniare, in prima persona, che non c’e’ motivo perche’ l’esempio della fiera di Milano non debba essere, o meglio ritornare ad essere, applicato ovunque. E anche fosse solo una bella scatola, … beh, ricordiamoci che in giro per il mondo c’e’ tanta gente che non sa, o non riesce, a fare nemmeno quelle.