Da martedì prossimo la proposta di legge sul controllo di fucili e pistole, fortemente voluta dalla Casa Bianca,verrà finalmente discussa al Senato.
Il voto del Senato USA che giovedì scorso ha dato il via, per la prima volta in vent’anni, al dibattito sul “gun control”, ossia a una possibile stretta legale al possesso e alla vendita delle armi da fuoco, è esattamente il “piccolo passo” con cui – come scriveva nel 400 AC il filosofo cinese Lao Tse–“inizia ogni grande viaggio”. Certo il viaggio sarà lunghissimo, zeppo di ostacoli e soprattutto senza garanzia alcuna di giungere a qualsivoglia destinazione; eppure il passo, benchè piccolo nella sostanza, è carico di valore simbolico. Di fatto tra i 68 senatori favorevoli (31 quelli contrari) c’erano non solo quasi tutti i Democratici – che ricordiamo nella Camera alta detengono una seppur risicata maggioranza – inclusi molti degli eletti negli Stati dove i fucili sono più diffusi e popolari delle mazze da baseball, ma anche ben 16 Repubblicani, tradizionalmente allergici ad ogni forma di restrizione a quello che qui è considerato un diritto costituzionale.
In effetti, la proposta di legge su cui si discuterà a partire da martedì prossimo è ben lungi dal ridurre la possibilità, per i cittadini onesti, di comprare, possedere e portare con se pistole fucili o quant’altro; per non rischiare di farla affondare prima di nascere, dal cosiddetto “filibustrering” (l’ostruzionismo parlamentare contro il quale i Democratici poco possono senza la maggioranza qualificata di 60 senatori su 100) i promotori l’hanno edulcorata al punto di omettere sia la messa fuori legge per le armi semi-automatiche di tipo militare (i fucili mitragliatori, per intenderci, quelli che usati da qualche squinternato contro le scolaresche o gli spettatori di un cinema producono carneficine da film dell’orrore) sia il divieto di comprare un numero illimitato di cartucce e caricatori.
Ovvio che la speranza (probabilmente vana, viste le premesse) è che queste misure rientrino per così dire “dalla finestra”, in fase di emendamento. Ma per ora, l’unica vera novità del disegno presentato, tra gli altri, dai senatori Joe Manchin, Democratico della West Virginia e Pat Toomey Repubblicano della Pennsylvania ( due stati dove la caccia genera più interesse – e reddito – di baseball football e basket messi insieme) è l’obbligo dei “background checks” a livello nazionale, ovvero i controlli sulle fedine penali e lo stato di salute mentale di chi acquista un’arma – incrociando le informazioni di banche dati, federali, statali e sanitarie – non solo per chi compra le armi al negozio (o al supermercato se è per questo) ma anche per chi le compra da privati, o ai “gun show”, le fiere specializzate di settore dove si stima oltre il 20% delle armi presenti negli USA passa di mano senza praticamente controllo alcuno.
Una misura di buon senso, appoggiata, secondo sondaggi attendibili, dal 90% degli americani (nonostante, ricordiamo, il 42% di essi dichiari di avere un’arma in casa, e il 30% di possederne una personalmente). In altre parole l’idea di evitare che criminali, malati mentali o individui già sotto osservazione (magari per episodi di violenza domestica) abbiano accesso a pistole, fucili, o peggio, piace praticamente a tutti. O quasi. Non piace, per esempio, ai costruttori di armi, per i quali “ogni limite, ogni restrizione, ogni controllo in più rappresenta un potenziale ostacolo alle vendite e di conseguenza al profitto”, come osserva giustamente lo scrittore John Donahue prestato per l’occasione alla CNN. Poi ci pensa la NRA (National Rifle Association) associazione con 4.5 milioni di iscritti e potentissima lobby di Washington, a spaventare i membri, con discorsi di ingerenza statale su liberta e dirittidi proprietà privata, e soprattutto i parlamentari, con argomenti molto più terra-terra, ma non per questo meno efficaci, sulla chiusura dei rubinetti del finanziamento alle campagne elettorali.
Ecco perché’ per ottenere l’Ok di poco più di due terzi dell’assemblea(non per approvare – sia chiaro! -bensì solo per cominciare a discutere di una misura che 9 americani su 10 passerebbero seduta stante), ci sono voluti i testimonial in prima persona di Presidente, Vice presidente, First Lady e addirittura delle famiglie delle vittime della strage di Newtown – dove lo scorso dicembre 20 bambini e 6 adulti sono stati falciati, a scuola, dalle sventagliate di mitra di uno squilibrato – presenti nell’aula del Senato al momento del voto. Eppure i comizi di Barack Obama, gli appelli televisivi di Michelle e di Joe Biden, le marce, le proteste, le croci piantate sul prato di fronte al Campidoglio di Washington, potrebbero anche non servire a niente. Perché’ votare per discutere una legge non significa necessariamente approvarla, e perché’ dal Senato, poi, la proposta, magari ulteriormente annacquata,dovrà essere sottoposta alla Camera, il cui Presidente, il Repubblicano John Boehner, forte della sua maggioranza conservatrice ha già fatto sapere che “nulla si deve dare per scontato”.
Insomma il lungo, lunghissimo, viaggio del “gun control”, appena iniziato, potrebbe anche finire presto. Tuttavia, infrangendo dopo vent’anni di intoccabilità questo tabù assoluto della politica americana, il primo passo, per quanto piccolo, va nella direzione giusta.