Pubblicato all’interno dello “Speciale Papa”
sul numero n. 13, del 28 Marzo , 2013
“Credetemi, sono davvero contento di essere qui,” dice il Cardinale Sean O’Malley, tra gli applausi, ai fedeli (e ai giornalisti) che affollavano Holy Cross, la cattedrale di Boston, al termine della celebrazione della Domenica delle Palme. Per il porporato francescano – favorito fino all’ultimo nei pronostici – è la prima apparizione pubblica dopo il conclave e chi era venuto per carpire qualche emozione, magari nei gesti o fra le righe, è stato soddisfatto ben oltre le aspettative.
Un O’Malley Emozionato ed emozionante, durante l’omelia dedicata alle palme e alle ceneri – simboli di vera fede cattolica – dopo aver ricordato, con la sua voce baritonale incrinata dalla commozione, il collega e amico Oscar Romero ucciso esattamente 23 anni fa in Salvador, ha insistito, a lungo, sulla bontà della scelta di Jorge Bergoglio, oltre che per i suoi pregi di uomo e prelato, per la provenienza, sottolineando quanto importante sia l’America Latina per la Chiesa mondiale (il 40% dei cattolici vive nelle Americhe del centro e del Sud) e quella statunitense, dove i 77 milioni di cattolici (altri 150 si definiscono semplicemente “Cristiani”) nonostante l’emorragia di fedeli verso i protestanti evangelici, continuano a crescere di numero grazie all’afflusso di immigrati dal Sud dell’emisfero.
Fin dal nome – della cui scelta da buon cappuccino si dice felice – Francesco è l’uomo giusto per ricostruire la Chiesa, aveva continuato O’Malley dal pulpito; e lui di ricostruzione ne sa qualcosa, a cominciare da quella dell’immagine dell’arcidiocesi con la percentuale di cattolici (1,8 milioni) sugli abitanti (3 milioni circa) più alta d’America, devastata dagli scandali.
Non stupisce dunque che qui, nella sua Boston, siano contenti di riaverlo in città. “Sarebbe stato un grande Papa, ma sarebbe tornato di rado e sarebbe stato impossibile avvicinarlo,” riflette Tim Carrey, uno dei tanti fedeli rimasti a chiacchierare sul sagrato di Holy Cross mentre O’Malley circondato da cameraman e fotografi saluta uno per uno i partecipanti alla messa che escono con le palme benedette in mano.
Inutile negarlo, a Boston, come nel resto degli USA, in un papa “a stelle e strisce” ci avevano sperato un po’ tutti, media compresi, che avevano seguito il conclave con l’entusiasmo di un’olimpiade. Ciò nonostante, quando “la squadra di casa ha perso” ha prevalso la sportività: fin dai primi momenti, in TV e sui giornali sono abbondate le lodi per Papa Francesco, insieme, va detto, a qualche interrogativo sull’effettiva possibilità di realizzare – nella sostanza oltre che nella forma – quel rinnovamento di cui la Chiesa, e su questo in America sono tutti d’accordo, ha un enorme bisogno.
Ma se in cattedrale nessuno sembra avere dubbi su papa Francesco (“umile semplice e saggio” i complimenti più diffusi), nella comunità latina – numerosissima nella zona, l’entusiasmo è unanime e palpabile. Tra i brasiliani riuniti per dolci e caffè (come è loro costume) dopo la messa delle palme celebrata in portoghese nella parrocchia di Sant’Antonio, la sensazione è quella di una vittoria ai mondiali. “Certo, Francesco non è Brasiliano ma va benissimo lo stesso,” dice Leila Queiroz Souza riassumendo il sentimento generale, “il suo voto di povertà e di umiltà tocca corde profonde da noi in Sudamerica e rinforza il concetto che crescere non significa accumulare ricchezze ma diventare persone migliori”.