Pubblicato dal settimanale fabrianese “L’Azione” il 21 Marzo 2013
La settimana scorsa L‘America si è fermata per l’ “Habemus Papam”, e devo dire, cari concittadini, la cosa non mi ha stupito affatto. Premetto, dopo aver trascorso più di un terzo della mia esistenza terrena all’estero, che le notizie provenienti da Città del Vaticano e dintorni – qualsiasi esse siano – per motivi sia geografici che culturali hanno al di fuori dell’Italia un ‘eco di gran lunga minore che da noi. Stavolta però non sarebbe davvero potuto essere altrimenti.
Certo con 1.2 miliardi di cattolici nel mondo, l’elezione del nuovo pontefice riguarda direttamente un abitante del pianeta su sei. Basterebbe questo, da solo ad indurre i manager dei network a interrompere i programmi e trasmettere tutto (come hanno fatto) in diretta e a reti unificate. In più un evento che per definizione succede “ad ogni morte di papa” stava accadendo con il Papa “uscente” ancora vivo, vegeto e soprattutto in pieno possesso delle sue facoltà .
Ma in realtà questa “tornata elettorale” pontificia aveva un altro motivo (forse il principale) per interessare l’ America – dove, ricordiamo, solo un quarto degli oltre 300 milioni di abitanti si dichiara cattolico, mentre almeno il doppio (150 milioni circa) si definisce semplicemente Cristiano. Per la prima volta nella storia i pronostici indicavano non uno ma ben due potenziali Papi a stelle e strisce, l’arcivescovo di Boston, Sean O’ Malley, e quello di New York, Timothy Dolan. E si sa, quando alle Olimpiadi gioca la squadra di casa diventa avvincente anche il tiro al piattello.
Qui – specie quel 25% di cattolici – ci speravano davvero in un pontefice americano, perché’ avrebbe rimesso sulla mappa un clero , quello statunitense, che negli ultimi dieci anni è stato sotto i riflettori per motivi molto meno nobili (lo scandalo pedofilia, ricordiamo, iniziò ad emergere proprio a Boston) e perché’ forse avrebbe placato la conseguente emorragia di fedeli verso le denominazioni protestanti evangeliche, compensata, a fatica, dall’afflusso di nuovi emigranti dalle cattolicissime Americhe del centro e sud.
Invece, dopo un solo giorno, completo, di Conclave lo Spirito Santo (così insegna la dottrina) per mano dei 115 porporati ha fatto uscire dall’urna, a sorpresa il nome di Jorge Mario Bergoglio, confermando il famoso detto secondo il quale “chi entra Papa esce cardinale”, e viceversa.
E come sempre i miei colleghi americani si sono dimostrati all’altezza: le uniche emozioni che hanno lasciato trapelare sono quelle, inevitabili, assorbite tra la folla oceanica abbracciata dal colonnato del Bernini (che le straordinarie immagini televisive americane facevano apparire, così come tutta San Pietro, più bello e suggestivo che mai).
Per il resto hanno preso atto della scelta sottolineandone – anche nei giorni seguenti – le novità: primo Gesuita, primo Francesco e primo non Europeo , consolandosi – come ha scritto anche il presidente Obama nel primo comunicato stampa dopo l’elezione – col fatto che in fondo anche se del Sud è un po’ “americano” anche lui.
Non sfuggono agli occhi degli attenti osservatori e analisti USA i semi di innovazione contenuti nelle prime parole e nei i primi atti di Papa Francesco, coerenti in verità con la semplicità e la vicinanza al popolo del cardinale che a Buenos Aires prendeva l’autobus e si cucinava la cena da solo. Ma non sfugge nemmeno il fatto che “non bastano un nome evocativo e una postura umile”, come nota Ross Douthat sul New York Times di domenica scorsa.
Una cosa è (per quanto simbolicamente rivoluzionario) chiedere ai fedeli di pregare per lui e chiedere il conto dell’albergo, senza ermellino e con al collo una croce di ferro invece che d’oro; un’altra è come riflette lucidamente la rivista TIME nella storia di copertina: “scardinare una burocrazia basata su privilegi aristocratici e istinti Machiavellici”. Staremo a vedere: di certo questa nuova pagina di storia della Chiesa è ancora tutta da scrivere e, come i miei colleghi americani, cari concittadini, sono curioso anch’io di leggerla fin dal sommario.
E a proposito di istinti Machiavellici – e di pagine ancora da scrivere – concludo associandomi all’onorevole Rosi Bindi, che preoccupata dello stallo a Montecitorio e a Palazzo Madama ha detto: “adesso speriamo che lo Spirito Santo si fermi a Roma qualche giorno in più”.