Pubblicato su “L’Azione”
(settimanale fabrianese)
del 18 Gennaio, 2013
Tutto il mondo è paese, cari concittadini.
Nella notte di San Silvestro, Washington ricordava paurosamente Roma centro: nella mia mente come in un incubo, di quelli in cui un luogo familiare a mo’ di simulazione al computer si trasforma, senza motivo, in un altro, Pennsylvania Avenue (quella che va dal Capitol alla Casa Bianca) diventava via del Corso e lo Washington Monument (l’obelisco al centro del grande prato) si scioglieva in quello più piccolo e ornato di piazza Colonna.
Motivo di quest’allucinazione transoceanica notturna, ahimè non è stato ne’ un cenone troppo abbondante ne’ qualche brindisi di troppo (all’uno e agli altri, devo dire, sono abbastanza abituato). Molto più difficile da digerire, per me che dell’America da anni vado tessendo le lodi, è stato lo squallido teatrino di repubblicani e democratici che aspettano la sera dell’ultimo dell’anno per mettersi d’accordo su una cosa importante come il fiscal cliff (il precipizio fiscale).
In soldoni (anzi in soldi!) si trattava degli aggiustamenti alle tasse e alla spesa pubblica che per legge dovevano essere fatti entro il 31 dicembre, appunto, per evitare che alla scadenza degli sgravi varati da Bush si aggiungessero i tagli, inevitabili in tempi di crisi come questi, spingendo in un colpo solo l’America delle famiglie e della classe media ancora più in basso nella china, più ripida e scivolosa del previsto, della recessione.
Come in quei film degli anni ’50 in cui due ragazzotti a bordo di macchine scassate si lanciano verso un precipizio (vero) giocando a chi si butta più tardi per dimostrare il proprio coraggio, gli esponenti dei due schieramenti hanno fatto il muso duro fino all’ultimo, rischiando di caderci tutti nel precipizio, (il fatto che sia fiscale non lo rende meno spaventoso) insieme ai risparmi, i servizi, le pensioni, i sussidi di disoccupazione di milioni di americani (compreso chi scrive), i quali di tutto hanno bisogno – o voglia – tranne che di gare di coraggio politico.
Il bello (anzi il brutto) è che la scadenza era nota a tutti, da un anno e mezzo, da quando nell’estate del 2011 lo stato federale era arrivato a un passo dalla bancarotta – sempre per il muro contro muro partitico sul tetto del debito pubblico – problema che tra due mesi si ripresenterà, tale e quale, visto che nell’accordo in extremis di capodanno l’unica cosa su cui un accordo si è trovato e stato aumentare le tasse (neanche di tanto, in realtà, meno del 5%) a chi guadagna più di 400,000 dollari l’anno.
E c’è da scommettere che, anche in quel caso, questi James Dean riesumati (Repubblicani o Democratici che siano) aspetteranno l’ultima ora dell’ultimo giorno utile per guadagnare chissà quali consensi da chissà quali elettori. Il tutto mentre in Italia si svolgerà una delle elezioni politiche più demenziali della nostra storia Repubblicana: e come sono lesti ora i James Dean nostrani, nel comporre le liste con un sistema che nessuno a parole voleva più e che invece tutti, in pratica hanno contribuito, cincischiando per un anno intero, a mantenere.
E’ triste, cari concittadini, guardare la politica di entrambe le nazioni che chiamo casa, e vedere lo stesso schifo. Dopo una laurea in scienze politiche, un master in giornalismo e 15 anni di reportage e corrispondenze l’unica che riesco a dire è “… andassero tutti a casa, sti buffoni!” … ah, dimenticavo, in Italia ormai non si può dire più nemmeno questo senza essere schedati: dopo il tifo per la nazionale di calcio, la politica è riuscita anche ad appropriarsi del caro, vecchio e più che mai attuale, qualunquismo da bar.