L’incubo del Pareggio – Famiglia Cristiana (WEB)

Mentre gli americani si recano alle urne, i sondaggi fanno prevedere un testa a testa serrato fra Obama e Romney, con lo spettro di un riconteggio come accadde 12 anni fa.

Voci roche, borse sotto gli occhi, i due aspiranti alla Casa Bianca ugualmente provati da una campagna estenuante, combattuta fino all’ultimo comizio, all’ultimo spot pubblicitario, all’ultimo gala di raccolta fondi, sono tornati per l’ultima apparizione pubblica prima del voto ai rispettivi punti di partenza, nei luoghi dove in un tempo che oggi sembra lontano un’era geologica hanno dato il via alle rispettive avventure elettorali. Alla vigilia del voto, l’Iowa per il presidente in carica Barack Obama e il New Hampshire per lo sfidante Mitt Romney (entrambi Stati confinanti con quelli che i due chiamano casa, rispettivamente Illinois e Massachusetts) non sono solo importanti in termini sentimental-simbolici ma anche da un punto di vista strettamente numerico.

Di fatto, anche se scarsamente popolati – e dunque “leggeri” all’atto della conta finale dei voti – sia l’uno che l’altro sono tuttora considerati “swing”, in bilico, dunque potenzialmente decisivi, in una elezione talmente equilibrata al punto che schiere di avvocati sono già pronte a calare sugli Stati indecisi nell’eventualità di una qualche contestazione o addirittura di un riconteggio, come avvenne in Florida nell’elezione del 2000 che costò il posto all’allora vicepresidente Al Gore.

Simbolico in questo senso il risultato di Dixon Notch, il paesino del New Hampshie settentrionale che per tradizione apre i seggi a mezzanotte guadagnadosi così la prima diretta nazionale dell’election day: ebbene, i 10 elettori locali si sono dimostrati quest’anno un campione più che mai rappresentativo decretando con 5 voti per Obama e 5 per Romney un pareggio per la prima volta nella storia di questo villaggio nelle foreste dell’estremo Nordest. Note di colore a parte, l’elezione sarà probabilmente per molte ore “too close to call” come dicono qui, cioè “tropo equilibrata per dichiarare un vincitore (in anticipo)”. Probabilmente stanotte (quando in Italia sarà già mattina) si tornerà ai tempi di quando sondaggi ed exit poll non erano ancora stati inventati, e si tornerà a fare ciò che il buon senso in realtà non ha mai smesso di imporre: contare effettivamente i voti.

C’è da dire che dopo un anno di interminabili primarie repubblicane – condito da colpi bassi e da un bombardamento a tappeto mediatico in cui a volte per i meno smaliziati è stato diffcile distinguere tra informazione e propagandam – gli americani sono contenti di essere finalmente arrivati all'”election day” e del fatto che da domani torneranno ad essere martellati da spot che parlano di automobili, hamburger e detersivi. Alla fine della campagna elettorale più costosa della storia (si stima che attorno ai 6 miliardi di dollari siano stati bruciati in totale) gli elettori vanno alle urne in realtà a scegliere tra due visioni opposte del ruolo dello Stato nell’economia e in fondo nella propria vita di tutti giorni.

E non c’è politica estera, riscadamento globale o questioni etico-sociali che tengano: dalle tasse al mutuo, dal sussidio di disoccupazione ai prestiti per il college, dal prezzo della benzina alla gestione dei fondi pensione, via via fino alla questione centrale dei posti di lavoro, questa è un’elezione basata sui soldi e su come lo Stato federale riuscirà a farne entrare, o rimanere, di più in tasca a una Nazione che ne ha adesso meno di prima. Adesso non resta che guardare come andrà a finire. Speriamo solo non finisca come a Dixon Notch: visto il precedente del 2000, in caso di pareggio in Florida o in Ohio, per ricontare i voti non ci vorranno certo i dieci minuti del villaggio del New Hampshire.

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