Convention USA – L’Azione

A DUE MESI DAL VOTO LA POLITICA AMERICANA DIVENTA SPETTACOLO

Cari Concittadini,

come faccio ormai da dodici anni condivido con voi le impressioni di un rito – americano come il baseball e la torta di mele – appena consumatosi: le “convention”.

Per chi si fosse perso le mie disquisizioni sull’argomento del 2000, 2004 e 2008 (ebbene si’ le elezioni USA coincidono con le olimipadi), per “convention” qui si intende, in teoria, il congresso plenario del partito (Repubblicano o Democratico che sia) in cui, a due mesi dall’elezione del presidente, i delegati di tutti e cinquanta gli stati si riuniscono sotto uno stesso tetto e consegnano formalmente la “nomination”, cioe’ l’investitura ufficiale, al candidato che e’ uscito vincitore dalle “primarie,” ovvero il processo di selezione interno al partito con votazioni stato per stato. Ripeto, in teoria.

A Tampa, in Florida, dove si e tenuta quella Repubblicana c’erano tutti, e tutti, a turno hanno parlato bene del candidato Mitt Romney – compresi gli ex sfidanti repubblicani che alle primarie fino ad Aprile ne hanno detto peste e corna – e male di Barack Obama. (Le cose peggiori al presidente in carica le ha dette immaginandolo seduto su una sedia vuota l’attore Clint Eastwood). Ad aprire le danze la moglie Ann che tra i tanti elogi ha raccontato di quando lei e il suo Mitt erano giovani felici e poveri (in questo poco credibile visto che il suocero, George Romney fu governatore del Michigan e amministratore delegato di quella che divento’ la Chrysler). A seguire parenti, amici, colleghi politici famosi ecc… Poi l’ultima sera, Romney in persona, il finanziere mormone, a cercare di convincere l’America che per uscire dalla crisi ci vuole un uomo di business come lui, e non un attivista di quartiere come il suo avversario, e un programma che taglia tutto, spesa pubblica e tasse (comprese quelle ai suoi colleghi miliardari) altro che lo statalismo “socialista” di Obama e dei democratici. Tutti in delirio. Poi giu’ palloncini, coriandoli, musica ….

La settimana dopo a Charlotte, in Nord Carolina, stesso copione: tre sere di apologia di Barack Obama, “il presidente che ha ucciso Bin Laden”, “che ha riportato a casa i ragazzi dall’Afghanistan”, “che ha salvato i settori bancario e automobilistico,” (anche se coi soldi di tutti gli altri) e via dicendo. Anche li’ comincia la moglie descrivendolo sveglio di notte a leggere le lettere degli americani comuni e a preoccuparsi di come risolvere i loro problemi … e a raccontare di quando insieme erano giovani felici e poveri (loro magari per un po’ lo sono stati davvero). Poi parenti, amici, colleghi politici famosi (magari ‘papabili’ per il 2016 quando Obama, secondo costituzione, non potra’ candidarsi piu’). La star, in questo caso, e’ una vittima dello stesso divieto, l’ex presidente Bill Clinton, ancora amato, a sinistra e non solo, al punto che, potendo, i democratici ricandiderebbero lui. Poi l’ultima sera, ovviamente, Mr. President, a parlare di come dalla crisi si esce tutti insieme, che allo Stato si deve dare per, dallo Stato, ricevere, e che aiutare chi sta peggio, oggi, serve a stare un po’ meglio tutti, domani. Parole pronunciate, certo, con quattro anni di presidenza alle spalle in cui l’economia non ha mai dato segni di ripresa ma … poco importa: tutti in delirio comunque. E poi palloncini, coriandoli ecc…

C’e’ poco da fare: quando si riuniscono, tutti insieme sotto lo stesso tetto, a due mesi dalle elezioni, Repubblicani e Democratici (i secondi piu’ colorati – in tutti i sensi – dei primi) non si discostano gran che’. Stavolta, almeno, per via della crisi hanno fatto eccezione i diametralmente opposti programmi – o meglio le loro linee guida, perche’ di dettagli e di cifre si parlera’ seriamente solo nei dibattiti.

Il fatto e’ che, in pratica, per gli uni e per gli altri le convention non sono altro che gigantesche e spettacolari vetrine da dove i candidati di oggi – e di domani – infiammano le rispettive basi per le elezioni in arrivo, (chiedendo anche soldi dato che ci sono) e cercano di convincere gli indecisi – quest’anno piu’ fondamentali che mai per la vittoria – a votare a novembre per il proprio partito. Il tutto, inondando gli uni e gli altri con un fiume, anzi uno tsunami, di retorica.

Belle pero! Altroche’ se sono belle da seguire le convention, sia dal vivo (come chi scrive ha avuto la fortuna di fare in passato) sia in TV. Oltre che divertenti – specie per i “drogati” di politica come il sottoscritto – questi circhi mediatici sono una straordinaria finestra per imparare di cosa e’ fatta nel bene e nel male l’America. Compresa l’abitudine, preziosissima in tempi di crisi come questi, di “suonarsela e cantarsela” da se’.

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