Mitt Romney vince in casa, di misura, ma vince. Il che alla luce dei sondaggi che fino alla settimana scorsa lo davano in svantaggio – nello Stato in cui è nato e cresciuto e dove il padre fu governatore e amministratore delegato di una delle maggiori industrie automobilistiche – è di gran lunga meglio che perdere. In realtà, il 3% di voti in più ottenuti ieri sera da Romney – che adesso tutti tornano a chiamare “front runner” (favorito) – nelle primarie del Michigan rispetto al suo rivale diretto alla nomination Rick Santorum, poco incidono sul bottino finale.
Di fatto nello Stato dell’auto (dove hanno sede General Motors, Ford e Chrysler) i repubblicani assegnano i 30 delegati in palio con sistema proporzionale – due per ognuno dei 14 collegi elettorali, e due soltanto per chi vince lo Stato in generale. E visto che molte delle contee spopolate e rurali lontane da Detroit se le è comunque accaparrate Santorum, in termini numerici l’elezione di ieri sera è stata praticamente un pareggio. E lo sarebbe stato anche se a vincere con lo stesso margine (41% dei suffragi contro 38%) fosse stato Santorum.
Ma alla vigilia del ‘Super Tuesday’ – il super martedi’ elettorale che quest’anno con soli dieci Stati sulla scheda è un po’ meno super del solito – conta il “momentum” che in gergo politico americano significa praticamente “vento in poppa”. E perdere il Michigan per Romney avrebbe significato bonaccia se non addirittura vento contrario. Santorum dal canto suo dopo le tre vittorie del 7 febbraio scorso in Minnesota, Missouri e Colorado (vittorie anche in quel caso psicologicamente preziose quanto povere di delegati) sembrava aver issato lo spinnaker e già veniva immaginato da molti analisti, noncuranti della matematica, veleggiare a grande velocità verso la nomination.
Ma, si sa, con tutti gli occhi puntati addosso è più difficile mantenere la rotta e nell’ultima settimana Santorum era già riuscito a intrecciare qualche cima. Uscito malconcio dal dibattito di mercoledì scorso (tenuto proprio in Arizona e parte del motivo della batosta presa lì) aveva definito Obama “snob” per aver auspicato che tutti gli americani possano un giorno permettersi l’università, e soprattutto dichiarato di aver avuto il “voltastomaco” ascoltando il discorso del presidente Kennedy sulla separazione tra Stato e Chiesa. Uscite infelici ed eccessive, fors’anche per alcuni di quegli evangelici ultraconservatori dai quali cerca voti e simpatie. Di sicuro più gravi di quella di Romney, paragonato giustamente dagli analisti più acculturati a Maria Antonietta di Francia, che per dimostrare il suo patriottismo automobilistico, va a dire che la moglie guida “un paio” di Cadillac. L’equivalente delle “Brioches” per i disoccupati cronici di Detroit.
Dunque, anche un po’ aiutato dal suo rivale, Romney torna in testa. Anzi, dà l’impressione di tornarci perché, in realtà, lui in testa c’è sempre stato. Conti alla mano, neanche tutti e 59 i delegati in palio ieri sera (i 30 del Michigan e i 29 dell’Arizona, dove pure si votava e che Romney, tra l’altro, ha stravinto con venti punti di scarto nella quasi indifferenza dei media) sarebbero bastati a Santorum per pareggiare il conto. Oggi, con in carniere i delegati dell’Arizona (tutti, poiché assegnati col sistema maggioritario) e praticamente metà di quelli del suo Stato natale, Romney si prepara ad affrontare il Super Tuesday, martedì prossimo, con un divario notevole: 165 a 44. Certo 1144, ovvero il numero magico necessario per la nomination è ancora molto lontano ma il vento del “momentum” se non altro è tornato in poppa a lui.