Sferrando un uno-due ai fianchi (in Minnesota e Missouri) e un diretto in pieno volto (in Colorado) al “peso massimo” Mitt Romney, Rick Santorum riapre a sorpresa il match per la nomination repubblicana. Che Santorum vincesse nei primi due Stati del Midwest (la zona delle grandi pianure centrali) se lo aspettavano un po’ tutti. D’altronde aveva già vinto in Iowa, nella fascia di Stati pianeggianti e rurali dove tra silos e sterminati campi di mais abbondano tra i conservatori sia i cosiddetti evangelici, cristiani fondamentalisti sensibili ai temi etici e sociali cari all’ex senatore cattolico della Pennsylvania, sia agricoltori e operai dal reddito medio basso sospettosi di un imprenditore miliardario la cui unica esperienza politica è stata governare per quattro anni il Massachusetts.
Ma specie dopo l’affermazione di Romney in Nevada – lo Stato più in crisi di tutti con il triste record di disoccupazione, fallimenti e case pignorate – dove si era accaparrato la metà esatta dei suffragi, nessuno si aspettava i margini abissali di mercoledì 8 febbraio: dopo tutto in Iowa Santorum aveva vinto di una trentina di voti, mentre nei due Stati confinanti ha letteralmente umiliato il grande favorito in Missouri e in Minnesota dove 30 (voto più, voto meno) sono diventati addirittura i punti percentuali di scarto. E ci si aspettava ancora meno di sentire, dopo ore di testa a testa all’una di notte, Ryan Call, il segretario statale del partito repubblicano del Colorado, annunciare che Santorum l’aveva spuntata anche lì, e nemmeno tanto di misura (40%-35%). E pensare che alle primarie di quattro anni fa, in Colorado Romney aveva stravinto per lo stesso motivo per cui ha perso ieri sera: ovvero perché l’allora favorito John McCain era considerato troppo di centro dalla base conservatrice e lui, Romney, la vera alternativa di destra.
Adesso tutti gli analisti parlano di “terremoto” politico in casa repubblicana, ma, nella pratica potrebbe solo trattarsi di una scossa di assestamento. Tanto per cominciare, numericamente cambia poco o nulla: le tre elezioni di mercoledì, infatti, erano in realtà due caucus (Minnesota e Colorado) dove i 76 delegati totali erano assegnati in modo proporzionale e una primaria in un certo senso “fasulla” visto che lo Stato del Missouri adotta da quest’anno una strana alchimia elettorale per cui i delegati veri e propri verranno assegnati in un caucus aggiuntivo in programma il 17 marzo prossimo. Non a caso l’elezione in Missouri, che ha registrato un’affluenza dimezzata rispetto a quattro anni fa, si è guadagnata il nomignolo universalmente condiviso di “concorso di bellezza”. Tuttavia la corona di “reginetta” del Missouri, Stato chiave di solito a Novembre, impreziosisce le vittorie negli altri due e di certo non nuoce alle raccolte fondi di Rick Santorum.
Ora la corsa si fa impegnativa anche geograficamente: fra tre settimane si vota in Michigan e in Arizona (rispettivamente ai confini col Canada e col Messico), poi nello Stato di Washington (nell’estremo Nordovest) e tre giorni dopo ancora contemporaneamente in dieci Stati spalmati sull’intera mappa di questo immenso Paese-continente. Con i suoi 57 milioni raccolti nel 2011 Romney è in una botte di ferro, in grado di far sentire la sua presenza a suon di spot televisivi in tutti gli Stati interessati.
In realtà il vero vincitore di mercoledì sera è il presidente in carica, Barack Obama che, preoccupato da un’ascesa troppo rapida di Romney e della sua potente macchina da soldi elettorale, proprio ieri aveva annunciato di voler accettare i contributi dei cosiddetti “Super PAC”, i comitati non profit con il diritto di finanziare i candidati in modo illimitato e senza controllo alcuno. Per Obama e i suoi strateghi, che nel “ring” in realtà non sono ancora entrati, il knock down di Romney è il miglior risultato possibile: ovvero una corsa che si riapre, con i repubblicani che continuano a suonarsele tra loro spendendo soldi, energie e soprattutto – nello sbilanciarsi a destra per conquistare la base – credibilità politica presso l’elettorato di centro, vero arbitro del match finale, quello in programma martedì 6 novembre prossimo, valevole per la Casa Bianca.