La campagna elettorale di Barack Obama e’ gia’ cominciata, ieri sera, con lo “Stato dell’Unione”, discorso che il Presidente degli Stati Uniti tiene all’inizio dell’anno di fronte alle Camere riunite.
Era il terzo del suo mandato e l’ultimo prima di novembre, quando gli americani decideranno o meno di rinnovarglielo. Dunque, un’occasione d’oro per ricordare agli elettori, bombardati in questi giorni dalle scaramucce tra candidati repubblicani, di che pasta e’ fatto, cosa ha fatto di buono finora e soprattutto cosa intende fare per guarire la Nazione da una crisi che non accenna a mollare la presa.
Il discorso, aperto e chiuso ricordando la fine della guerra in Iraq e soprattutto la morte di Bin Laden – usata come metafora dell’efficienza degli americani quando lavorano tutti insieme – e’ stato una lunga lista di ricette per far ripartire l’economia, prescrivendo l’intervento pubblico come medicina piu’ ricorrente. Di conseguenza gli applausi dei parlamentari repubblicani (dal novembre 2010 in maggioranza alla Camera e abbastanza numerosi in Senato per praticare l’ostruzionismo) si sono limitati, con qualche eccezione, ai passaggi iniziali e conclusivi di cui sopra.
Del resto la lunga lista di provvedimenti e politiche statali proposte da Obama per risanare l’occupazione e i bilanci – dello Stato, delle imprese e soprattutto, delle famiglie – e’ diametralmente opposta a tutte le filosofie liberiste e anti-stataliste care alla destra americana, sbandierate in questi giorni dai candidati alla nomination repubblicana in una sorta di gara populista a chi spara piu’ forte su Washington e sul welfare state. Obama, invece, rivolgendosi piu’ agli elettori che al Congresso – che la facolta’ di ostruzionismo la sta usando eccome – anticipa tutti i temi che stanno a cuore alla classe media e di cui da qui a novembre sentiremo ragionare fino alla noia.
Le tasse, tanto per cominciare – proprio quando Mitt Romney rende nota la tanto discussa dichiarazione dei redditi in cui risulta che sui 21 mlioni di dollari guadagati nel 2010, trattandosi di ritorni di investimento sottoposti a un aliquota del 15%, ne ha pagati al fisco soltanto tre. Cosi’ mentre i suoi avversari parlano di detassare ultrioremente i redditi da capitale, il Presidente propone un aliquota del 30% per chi guadagna piu’ di un milione l’anno. A onor del vero l’idea e’ del plurimiliardario Warren Buffet – la cui segretaria, diventata simbolo nazionale di questo paradosso fiscale perche’in percentuale paga piu’ tasse di lui, era presente al discorso come ospite della First Lady Michelle.
Le tasse, al contrario, Obama consiglia, con una chiara strizzata d’occhio ai sindacati, di tagliarle alle imprese, a patto che investano in ricerca, creino e mantengano posti di lavoro e soprattutto non vadano a produrre all’estero cio’ che possono produrre qui. “E vedrete che presto nelle strade di Seoul si vedranno automobili americane”, arriva a dire con uno slancio di utopico ottimismo “Chiamatela lotta di classe quanto volete” affonda Obama, piu’ che mai spigliato, a suo agio e sicuro di se. “Ma qui, se ne vogliamo uscire, dobbiamo fare tutti, dico tutti, la nostra parte”. E ancora, un’altra sferzata al lasses-faire degli avversari dopo aver difeso leggi e commissioni federali contro la concorrenza sleale e inquinamento: “le regole non uccidono il mercato libero, lo fanno funzionare meglio”.
Le differenze con i Repubblicani continuano, punto per punto, per tutti i 65 minuti dell’atteso discorso, trasmesso come sempre a reti unificate da network e all-news. Mentre da destra lo insultano per essersi opposto alla costruzione di un oleodotto dal Canada al golfo del Messico, Obama propone di tagliare i sussidi ai colossi del petrolio e incentivare, invece, chi investe nell’estrazione di gas naturale, di cui l’Ameica e’ ricchissima, e nello sviluppo di energie rinnovabili. Altri incentivi poi, li auspica per gli insegnanti, spesso sottopagati e per le famiglie che mandano i figli alla (sempre piu’ costosa) universita’.
Poi, in tema di immigrazione, con gli echi ancora freschi di Romney e Gingrich che l’altro ieri in Tv concordavano nel rimandare a casa tra gli altri anche i figli degli immigrati portati illegalmente in America da piccoli, il Presidente chiede al Congresso di facilitare la cittadinanza a chi studia, ricerca o fonda aziende. Infine, la stoccata finale, in faccia a tutti i discorsi sentiti nell’ultimo mese sulla sua presunta debolezza in politica estera. “Faro’ cio’ che e’ necessario per impedire all’Iran di sviluppare l’arma nucleare, ma una soluzione diplomatica e’ possibile e se l’Iran cambiera’ direzione lo riaccoglieremo nella comunita’ internazionale. Le nostre alleanze non sono mai state cosi’ forti e la nostra reputazione nel mondo e’ la migliore che abbiamo, da molti anni a questa parte. Chi dice che siamo in declino non sa nemmeno di cosa sta parlando”.
E giu’ i Democratici ad alzarsi e ad applaudire, e i Repubblicani zitti, seri, e fermi sulle poltrone. Certo, rispetto al neoeletto bipartisan del 2009, quello di ieri sera, era tutto un altro Obama, anche se con questi toni e questi numeri al Congresso, ricette e medicine rischiano di rimanere di rimanere, almeno per ora, solo una lista. Lui, intanto, comincia per tempo a galvanizzare la base, con la speranza che gli Americani, a novembre, gli “aprano la farmacia” eleggendo, con lui, anche una solida maggioranza Democratica in parlamento.