Cari concittadini,
chi mi conosce lo sa: sono abbastanza bravo a far ridere la gente e in qualche caso anche a farla piangere. E come spesso accade a chi sa suscitare emozioni negli altri, e’ molto difficile far ridere di gusto, e quasi impossibile far piangere, me.
Dunque anche il mese scorso durante il giuramento per diventare cittadino Americano al palazzo dello sport di Boston (ricostruito sulle macerie del mitico Boston Garden) I miei occhi sono rimasti perfettamente asciutti. E dire che tra gli altri 3600 che quel giorno condividevano con me quel momento fatidico, si sprecavano occhi lucidi e gote rigate dalle lacrime. Con qualche rara eccezione – tipo il mio vicino, che si era portato da leggere un trattato di biologia (… muah!) – l’emozione sul parterre e sul primo anello di gradinate era palpabile.
Di fatto diventare cittadino Americano non e’ facile, … per nessuno! L’immigrazione di questo paese scoraggia I potenziali emigranti con un cocktail di regole complesse, procedure costose, decisioni spesso arbitrarie e senza appello e, non da ultimo, un atteggiamento sospettoso e prevenuto nei confronti di chi entra, al punto di mettere a disagio anche I semplici turisti. Per la residenza permanente ( il nostro permesso di soggiorno che qui si chiama “Green Card – Carta Verde”) ci vogliono anni – a prescindere da come la si ottiene. E una volta avuta, la “Homeland Security”, il mega ministero che ricorda i mostri burocratici italiani, creato dopo l’undici settembre per riunire tutti gli enti pubblici addetti alla sicurezza interna, si riserva il diritto di toglierla a chi ritengono non adatto, anche solo per aver trascorso piu’ di sei mesi all’estero.
La retorica, ottima e abbondante durante la cerimonia, e la pratica sono oggi piu’ che mai scollegate. La statua della liberta’ ha smesso da tempo di accogliere a braccia aperte le “masse povere ed esauste del mondo” come recita la poesia incisa sulla sua base. Oggi I poveri e gli esausti guadano il Rio Grande al confine col Messico e si imboscano per anni, a volte per tutta la vita, in una societa’ che ha bisogno di loro anche se non lo ammette e che sui codici civili prevede rigide misure di controllo e di rimpatrio ma poi non ha le risorse per rimandare a casa nemmeno I criminali. E che poi per salvare la faccia all’aeroporto mette agenti ignoranti e scortesi a prendere le impronte ( tutte le sante volte!!) e a fare il terzo grado a quelli come me. Altro che terra delle opportunita’ con le strade coperte d’oro!!
Dunque c’e’ abbastanza materiale per far sentire sollevati, soddisfatti e anche un po’ orgogliosi, I neo americani. Con la cittadinanza infatti l’America smette ufficialmente di considerarti uno straniero: si viaggia a piacimento, si vota, si puo’ fare domanda per posti di lavoro pubblici e far emigrare in America parenti stretti, e quando si torna dall’estero l’agente di turno ti dice, per contratto, “Bentornato a casa, signore!”. In cambio bisogna fare il giurato ai processi se si viene selezionati e come recita la formula del giuramento – anacronistica quanto basta – essere disposti a imbracciare le armi contro una potenza straniera quando richiesto dalla legge”, in pratica, mai.
Se poi, a casa uno qui ci si sente davvero, magari da anni, vederlo scritto su un pezzo di carta con l’aquila, le stelline e tutto il resto, c’e’ anche di che emozionarsi. Specie se, come nel mio caso, a parte I vantaggi pratici si condividono profondamente I principii e gli ideali di questo straordinario paese.
Ma l’emozione che possono provare quelli come me venuti qui, in un certo senso per sfizio, non e’ neanche paragonabile allo stato d’animo degli emigranti veri, quelli che senza soldi, senza istruzione, senza conoscenza alcuna, sono scappati qui da paesi dove gli mancava tutto, dal pane alla liberta’ di espressione, magari condannati a morte perche’ parte di un etnia o di una religione, lasciando in quei paesi figli, mogli, genitori, senza vederli per anni e che adesso col passaporto Americano in tasca possono non solo riabbracciarli ma addirittura aiutarli legalmente a vivere qui.
A questo pensavo guardando questa umanita’ multirazziale dagli occhi lucidi sfollare ordinatamente, fila per fila, il parterre dell’ex Boston Garden per andare, uno per uno, a ritirare il tanto sofferto certificato di cittadinanza, con l’aquila, le stelline e tutto il resto.
Poi, a un certo punto dagli altoparlanti e’ uscita “God Bless America” canzone patriottica che, se eseguita in un certo modo, mi fa l’effetto che a Proust faceva il sapore delle madeleine riportandomi inesorabilmente, e di botto, all’11 settembre del 2001.
Cosi’ nella mia mente quei tremila neocittadini di tutte le razze e di tutte le eta’ che uscivano ordinatamente dal palazzetto si sono trasformati in quelle tremila povere anime innocenti uscite di scena in una bella mattina di sole esattamente dieci anni prima – dopo che, per motivi con cui nulla avevano a che a fare, i loro corpi sono stati bruciati e schiacciati, negli aerei dirottati, al Pentagono e nelle Torri gemelle.
A quel punto, col mio vicino ancora intento a studiare biologia, mi sono messo a piangere anch’io. E, come succede a quelli che non piangono mai, per un bel po’ non c’e’ stato verso di smettere.