Pubblicato su L’AZIONE il 7 Febbraio 2009
“Ronald Reagan? Chi? L’attore?” Urla incredulo Emmet Brown detto ‘Doc’, scienziato pazzo degli anni ‘50 a Marty McFly il viaggiatore del tempo venuto dal 1985 che gli comunica chi sara’ presidente nella sua epoca. “E il vice presidente chi e’” continua “Jerry Lewis?”
E’ una delle battute piu’ divertenti del film ‘Ritorno al Futuro’, preparatoria tuttavia per una ben piu’ profonda riflessione. Subito dopo infatti Doc, (Christopher Lloyd), mentre ispeziona affascinato una videocamera amatoriale che Marty (Michael J Fox) ha portato con lui dagli anni ‘80 esclama: “capisco perche’ avete eletto un attore: deve essere bravissimo in televisione!”
E’ una grande e innegabile verita’, specie – ma non solo – negli Stati Uniti. Per vincere le elezioni, le presidenziali in particolare, bisogna essere “bravi in televisione”. Lo sa bene Richard Nixon protagonista nel 1960 di quello che tutti gli studiosi di comunicazione considerano l’inizio dell’era della politica televisiva, o meglio dell’influenza praticamente egemone della TV nella politica Americana.
Era il primo dibattito della storia trasmesso in diretta TV, e Nixon perse, o vinse, contro il suo avversario John Fitzgerald Kennedy, a seconda del mezzo di comunicazione. Ovvero, chi lo ascolto’ alla radio percepi’ Nixon come superiore nei toni e nei contenuti, mentre chi lo guardo’ in televisione ebbe esattamente la sensazione opposta. La postura rigida, lo sguardo truce, il sudore del candidato repubblicano opposti al perfetto essere a proprio agio del suo avversario impressionarono gli spettatori molto piu’ dei temi effettivamente trattati.
Da allora l’influenza della TV vive un glorioso e ininterrotto crescendo “Rossiniano.” Non tanto sulla quantita’ dei votanti quanto sui loro comportamenti: Di fatto, l’affluenza alle urne, impennatasi con l’avvento della radio (dal 49% del 1924 al 63% del ‘36) non ha risentito allo stesso modo dell’entrata del tubo catodico nel circo delle presidenziali, rimanendo costante tra il 50 e il 60% circa, dalla prima elezione ‘televisva’, quella di Eisenhower del ’52, ai giorni nostri. Tuttavia, l’ impatto del mezzo televisivo sulle idée e le percezioni di chi alla politica si interessa gia’ di suo e’ stato, ed e’, assolutamente innegabile.
Da quel fatidico scontro Nixon – Kennedy in poi, ogni candidato ha dovuto fare, volente o nolente, i conti con la propria “telegenia”, nell’immagine, nei toni , nei gesti. Stare in onda, tanto e soprattutto starci bene e’ stato negli ultimi 50 anni l’elemento chiave della popolarita’ e dunque, trattandosi di democrazia presidenziale, del potere.
Dei presidenti del recente passato piu’ che le politiche economiche o i trattati internazionali si ricordano le battute sagaci o le gaffe, purche’ pronunciate in momenti televisivi memorabili.
Di Nixon si ricorda la frase: “Non sono un ladro” detta teso e imbarazzato subito prima che esplodesse in tutta la sua furia lo Watergate. Di Reagan i balbettanti “non mi ricordo” durante l’interrogatorio sulle armi vednute sottobanco all’Iran ma anche: “Signor Gorbaciov abbatta questo muro” detto a Berlino, prima che il muro cadesse davvero. Di Clinton, il dito puntato verso la telecamera mentre giura di non aver mai avuto relazioni sessuali con “quella donna”. Ma anche gli occhi lucidi con cui auspicava il “ponte verso il 21esimo secolo” alla convention democratica del 1996, all’alba di una rivoluzione informatica che per i cinque anni successivi diede all’America il piu’ grande boom economico di tutti i tempi.
Reagan e Clinton, dopo Kennedy gli unici veri grandi comunicatori residenti alla casa Bianca, sono stati entrambi rieletti per un secondo mandato sopravvivendo a violenti cataclismi politici: rispettivamente l’affare Iran-Contras e lo scandalo Lewinsky. Nixon al contrario, che tutto era fuorche’ telegenico, per una brutta ma non necessariamente piu’ grave accusa di spionaggio elettorale fu costretto a dimettersi. Certo la capacita’ di “bucare lo schermo” non basta a gustificare il paragone ma di sicuro fece, in tutti e tre i casi, la sua parte.
Lo sanno bene anche i loro successori quanto il giusto “TV moment” rimanga impresso nell’immaginario collettivo e quanto beneficio politico porti con se, se tirato fuori dal cappello magico al momento giusto.
Indimenticabile George W Bush, che col megafono sulle macerie fumanti di ground zero, tre giorni dopo l’undici settembre incita gli operai a scandire in coro: “U-S-A, U-S-A””.
Tuttavia la TV rimane – e ultimamente non perde occasione di dimostrarlo – una proverbiale, affilatissima, arma a doppio taglio.
Ecco dunque che nel tentativo di costruire un ‘memorable moment’ dopo un anno di Guerra in Iraq dal dubbio esito, lo stesso Bush in tuta da aviatore dichiara “Missione Compiuta”, sia a voce che con un enorme striscione, appeso alla portaerei su cui era appena atterrato. Era il 2004, la “missione” ormai sappiamo tutti quanto “compiuta” fosse e i comici, fonte di informazione fondamentale per molti elettori, in particolare i piu’ giovani, ancora oggi ce lo prendono in giro.
Come hanno preso in giro, per tutta la campagna elettorale, il candidato repubblicano alla vice presidenza Sarah Palin che in un’intervista con la conduttrice del Tg della CBS, Katie Kouric, non e’ riuscita a ricordare nemmeno il nome di un singolo quotidiano, dopo aver affermato di leggerli “tutti”. Potenza del prime time .. al contrario! A quel punto a poco le sono serviti i 37 milioni di telespettatori al suo discorso della convention, anche perche’ l’audience non sempre significa consenso, a volte – per fortuna – e’ solo curiosita’.
Il prossimo presidente, Barack Obama, un paio di momenti “che contano” (seppur pagando) li aveva gia’ messi in carniere. Tanto per cominciare il discorso di accettazione alla convention di Denver, nello stadio del Football tra colonne greche con tanto di fuochi d’artificio finali: 80,000 presenti e oltre 38 milioni davanti alla TV (piu’ dell’apertura delle olimpiadi di Pechino e della notte dgeli Oscar). Poi l’“infomercial”, ben fatto ma inevitabilmente autoreferenziale e patinato, con cui per la “modica” cifra di 4 milioni di dollari ha riempito, a cinque giorni dal voto, mezz’ora di prima serata su due network nazionali.
Si’ perche’ se nell’era della CNN la televisione da’ ormai ai politici una risonanza che fino a pochi anni fa non si sognavano neppure, trasformando in evento ogni loro battito di ciglia, la politica ricambia ampiamente il favore.
Specie in un anno elettorale, non solo risolve il problema di riempire i palinsesti dei canali all news, ma anche e soprattutto le loro casse, con enormi ordinazioni di spot pubblicitari, principale voce di spesa (tra il 50 e il 75% del totale 2008) nei budget multimilionari dei candidati.
E adesso anche Obama ha avuto il suo momento di Gloria gratuito, addirittura in mondovisione, durante l’insediamento piu’ visto – anche dal vivo a giudicare dalla folla oceanica che ha inondato il ‘Mall’ di Washington – della storia Americana.
Missione Compiuta Mr. President! … Per ora. Adesso c’e’ da mettersi a lavorare: e non sara’ facile. Non lo sarebbe per nessuno, e meno ancora lo sara’ per Barack Obama. Di fatto il primo presidente nero della storia si accinge a governare un America economicamente ai minimi storici con un massimo storico di aspettativa popolare. E le telecamere, perennemente accese, saranno li’ fin dal primo giorno a ricordare all’America e al mondo che nessuno – nemmeno lui – puo’ fare miracoli.